Italia e Ue: infrangere o infrangersi?

EUROPA rubrica di Franco Chittolina

La tensione tra il governo italiano e le Istituzioni europee non smette di salire, raggiungendo toni di un’asprezza inedita. Molte le voci europee che invitano il governo italiano al dialogo, poche ma determinate le voci che dal governo chiudono ad un negoziato sulla futura legge di bilancio italiana.

Per la verità dall’Italia, e dallo stesso governo, arriva una pluralità di voci: da quelle ai limiti della violenza verbale di Matteo Salvini, cui si accoda, con un tono appena più basso, Luigi Di Maio, entrambi con il sostegno del ministro per gli affari europei, Paolo Savona, alle parole più miti e sommesse del ministro delle finanze, Giovanni Tria e di quello degli esteri, Enzo Moavero. Caute altre voci all’interno del governo, come nel caso del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e influente membro della Lega, Giancarlo Giorgetti. Su tutti questi politici svetta per lucidità e coraggio la voce del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, instancabile nel richiamare al rispetto della Costituzione e invitare tutti al dialogo, se davvero si vogliono fare gli interessi dell’Italia.

Sul versante europeo il coro è praticamente unanime, non solo tra le Istituzioni UE e i governi europei, in particolare quelli dell’eurozona, ma anche tra le forze politiche, comprese quelle che la Lega guarda come potenziali alleate. E’ il caso di Alternativa per la Germania, la formazione dell’estrema destra, che ha dichiarato di non avere nessuna intenzione di propiziare un intervento tedesco a favore dell’Italia. E si rivela particolarmente determinato anche il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, tutt’altro che tenero con l’Italia e il suo presunto alleato Salvini.

Tra gli interventi delle Istituzioni UE si è particolarmente segnalato quello del Presidente della Banca centrale europea (BCE), Mario Draghi che, con toni dialoganti, ha tentato di riportare alla ragione i governanti italiani, ricevendo solo risposte di chiusura, condite da Di Maio con l’accusa al presidente “italiano” della BCE di voler “avvelenare il clima”. Come se ce ne fosse ancora bisogno e come se proprio l’Italia non dovesse all’orientamento “federale” della BCE e del suo Presidente un significativo alleggerimento dei costi per gli interessi che gravano sul suo massiccio debito pubblico.

Tutto questo avveniva alla vigilia una data importante, quella del 26 ottobre, quando era attesa la valutazione di una delle più ascoltate Agenzie di rating (quelle che stimano la solvibilità del debito e l’affidabilità dell’economia di un Paese), Standard & Poor’s. Il giudizio è arrivato e non sembra di natura a rassicurare l’Italia e il suo sistema bancario, ma piuttosto ad accrescere in prospettiva i costi per le finanze pubbliche italiane, per le banche e i risparmiatori.

Non consola che il debito pubblico venga confermato al livello precedente, a due soli gradini dalla categoria “spazzatura”. Pesano di più le previsioni sull’immediato futuro dell’Italia: quella della crescita, ferma attorno all’1% e lontana dalle stime ottimistiche del governo, quella dello sforamento del deficit destinato a superare la soglia, già fuori misura del 2,4% fino al 2,7% e, con esso, la previsione di un debito pubblico che invece di rientrare continuerà a salire.

Un altro allarme si è aggiunto sull’affidabilità dell’Italia e non stupisce che qualcosa scricchioli anche all’interno del governo, con una Lega preoccupata per l’economia, in particolare per le piccole e medie aziende del nord in difficoltà a finanziarsi presso le banche, e un Movimento Cinque stelle che, per non perdere consenso, mette in conto a Mario Draghi responsabilità che sono del governo.

Ci aspettano giorni difficili. E’ possibile che presto, invece di chiederci se lo “spread” raggiungerà la pericolosa quota 400 (e già non è molto lontano), molti si chiederanno se l’Italia, e il suo governo, continuando a infrangere le regole non finiranno per infrangersi loro per primi, facendo correre il rischio a tutta l’UE di infrangersi a sua volta sugli scogli delle “sovranità nazionali”, le une contro le altre “armate”. Per ora solo verbalmente .