Cristiani volontari penitenziari, accanto agli ultimi

Carmen e Giulio Gallo, cristiani di fede evangelica, ci parlano di sé e condividono il significato di questa associazione

Caldo o freddo, estate o inverno, giorno feriale o festività annuale, loro ci sono sempre. Piccoli angeli nella notte, con i loro gilet blu, in contrasto con il camper bianco con cui si muovono, i volontari della Crivop (Cristiani volontari penitenziari), si aggirano, oltre che per gli Istituti di pena (come suggerisce il loro nome), anche tra i senza tetto di Torino, Alessandria e Cuneo, rispettivamente al lunedì, mercoledì e venerdì sera. Un’associazione che nasce con proposte assolutamente laiche, volte “a seguire il detenuto” (ed altri disagiati), “per inserirlo nella società progressivamente, per un ricupero totale” (come si legge nel sito internet).

Presenti su tutto il territorio nazionale (in provincia di Cuneo sono in 16), l’infaticabilità di questi volontari nasce soprattutto dalla loro fede personale, alimentata dalla meditazione costante della Parola di Dio e dalla preghiera individuale e comunitaria, secondo la tradizione delle Chiese cristiane evangeliche. Abbiamo incontrato Carmen e Giulio Gallo residenti a Genola (militare lui, assistente all’autonomia lei, e genitori di tre figli di età scolare) che prestano con grande entusiasmo il loro servizio nell’associazione, coprendo rispettivamente i ruoli di segretaria e vicepresidente regionale. Durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani li abbiamo intervistati per cercare di capire il significato delle loro opere e del loro vissuto.

Perché siete entrati a far parte della Crivop (Cristiani volontari penitenziari)?

Giulio: È nato da un desiderio del nostro cuore, nell’agosto del 2015, di prenderci cura, in Piemonte, di chi vive per strada o è svantaggiato nelle carceri (l’associazione, qui da noi, è iniziata a fine ottobre dello stesso anno). Cerchiamo di farli stare “bene” anche in un posto non bello, come può essere appunto la prigione. Avviando diverse iniziative, come per esempio, in quella di Saluzzo, il progetto acquisti, in cui facciamo da mediatori per i detenuti che hanno bisogno di specifici beni primari, oppure il magazzino di vestiario.

Carmen: Le attività che proponiamo nelle carceri sono comunque tante; i colloqui di supporto morale e relazionale, il progetto musicale (invitando anche un gruppo musicale cristiano), il progetto Arcobaleno (incontro dei figli con i loro papà), il “derby dell’amicizia” (partite di calcio), i “fiori tra le mura” (lavori di decoupage), il cineforum (proiezione di film di vario genere), con lo scopo di riflettere su alcuni spunti e insegnamenti che si possono trarre. E poi concludiamo con un piccolo rinfresco dove possiamo ancora colloquiare con i detenuti. Il tutto nell’arco di tre ore che abbiamo a disposizione. Il cineforum, inoltre, è anche un aiuto per uscire dalla loro abitudinarietà. Speriamo poi quest’anno di poter fare “la scampagnata” con i detenuti, trascorrendo un pomeriggio fuori, insieme alle loro famiglie, al termine di un progetto messo in atto con loro. E dunque l’inserimento degli stessi in comunità terapeutiche di accoglienza, negli ultimi 18 mesi della loro detenzione. E, con il camper, c’è inoltre l’assistenza dei senza dimora, ogni venerdì a Cuneo, e il lunedì a Torino.

La Crivop è, nella sua dicitura, “cristiana”; nella cultura italiana questo termine si collega abitudinariamente al cattolicesimo. Nella vostra esperienza personale, invece, cosa significa?

Giulio: Chi ha creato la Crivop è di fede cristiana evangelica; riconosciamo Cristo come nostro Salvatore. Abbiamo una passione per la Parola di Dio, che cerchiamo di mettere in pratica giorno per giorno, e, se non la portiamo porta a porta, la annunciamo però nelle piazze, o in momenti di evangelizzazione, affinché venga sparsa a tutte le nazioni, come è scritto nell’Apocalisse. Poi certamente viviamo la fede anche nelle case, dove a volte facciamo riunioni di preghiera.

Carmen: Per me cristiano vuol dire amare Cristo, che è nato nella nostra vita. E poi, quello che mi prefiggo, è di rispecchiare, con il comportamento, la sua immagine. Cioè che vedano in me, in noi, qualcosa di diverso, come quando incontri qualcuno e poi dici: “In quella persona c’è una differenza”; che possano vedere in noi l’agire, l’impronta di Dio. Noi non siamo chiamati ad inculcare le persone, ma a comunicare con i fatti. Che a volte valgono molto di più, in un mondo in cui siamo così tanto delusi. E incoraggiamo gli altri con le parole stesse della Bibbia. Perché se nel contesto evangelico parliamo a Dio tramite la preghiera, crediamo poi che Dio parla anche a noi per mezzo della sua parola. E quindi noi ci rispecchiamo in molti fatti della Bibbia, e sappiamo che in essa abbiamo tutte le soluzioni dei nostri problemi. Sta scritto infatti, “Se tu mediti la mia parola giorno e notte, allora tu riuscirai”. Non impariamo a memoria i versetti, ma leggendola c’è sempre qualcosa che ti rimane dentro. E che al momento giusto ti viene in mente nell’affrontare le diverse situazioni della vita. La vivifichi, la rendi tua. Crediamo poi in questa forza, in questo aiuto, che è lo Spirito Santo. E succede, per la strada o in carcere, che se siamo dei testimoni viventi, non posso dire a questi ragazzi “Dio ti ama”, “Dio ti può cambiare”, e poi essere uguale a loro; devo far conoscere la differenza, devo incuriosire queste persone. Raccontandogli come Dio ci ha cambiato, ponendoci come esempi di quello che è successo a noi, portando speranza, come altri l’hanno data a me quando mi trovavo nello sconforto, venendomi a parlare di Gesù. In ogni essere umano c’è un vuoto che né i soldi, né i beni materiali, né il coniuge o i figli o un altro posto in cui vivere possono colmare, ma soltanto Dio. Quando qualcuno è così solo da non ricevere visite, specialmente in carcere, e tu lo incoraggi con parole di speranza, portando il modello di vita di Cristo (e non una denominazione o una religione), che ha insegnato a “porgere l’altra guancia”, ad “amare i nemici” e a perdonare…, allora diamo loro un incoraggiamento che ce la possono fare. Perché spesso molti di loro hanno in mente pensieri di morte, di suicidio. Si sentono dei falliti, che non hanno concluso nulla nella vita. Però Dio è venuto a darci un’opportunità, come alla donna adultera del vangelo.

Ma le attività della Crivop vanno oltre il contesto penitenziario; a chi si rivolgono e perché? 

Giulio: L’attività per i senza dimora nasce come prevenzione al carcere. Cerchiamo di seguire questi ragazzi che vivono per strada, allontanandoli dall’alcolismo, dalla droga. E nell’arco di questi tre anni abbiamo visto i risultati, abbiamo visto delle persone cambiare davvero. Persone, per esempio, che prima bevevano e adesso non lo fanno più.

Carmen: Naturalmente lavoriamo molto in rete con altre associazioni. Certo, all’inizio ci salutavamo appena, mentre adesso abbiamo stabilito una collaborazione stabile. Quando operiamo sul campo, comunichiamo a tutte le istituzioni la nostra presenza sul territorio, in modo che sappiano cosa facciamo. E abbiamo inviato molte persone ai centri di accoglienza, di cui non conoscevano l’esistenza. Per non parlare di tutte quelle persone che abbiamo seguito nelle difficoltà di inserimento (lavorativo, sociale). Quanta emarginazione e quanti senza tetto abbiamo incontrato, anche casi davvero molto disperati.

Avete avuto delle difficoltà iniziali a farvi accettare dalle altre associazioni?

Giulio: All’inizio sì. Poi siamo stati coinvolti molte volte, per esempio dalla Croce rossa, a calmare delle situazioni, cantando, chiacchierando e stando con le persone accolte, che perciò si son sentite più serene. Cerchiamo di essere un sostegno morale e materiale per loro, inserendoli, se possibile, nella società, dove si sentono (o vengono trattati) come degli esclusi.

Carmen: Poiché siamo sempre presenti ai nostri impegni, venerdì dopo venerdì, garantiamo un aiuto affidabile e continuo.

Dal vostro punto di osservazione nella Crivop, c’è una diversa comprensione del vissuto evangelico da parte del contesto culturale italiano, e un’accoglienza maggiore anche da parte della nostra società, verso iniziative come la vostra? C’è una maggiore conoscenza degli italiani verso la fede a cui vi ispirate?

Giulio: Ci sentiamo meno incompresi di prima, ma ancora messi da parte. Però nello stesso tempo si sta diffondendo sul territorio questa nuova consapevolezza di ciò che siamo.

Carmen: Tanti si stupiscono, magari esprimono la loro ammirazione in quello che credo, ma poi non fanno un passo ulteriore. Pensano che quello che testimonio sia più conseguenza di una denominazione religiosa piuttosto che il desiderio di far conoscere Dio. Mi dispiace tanto, perché io non voglio attirarli alla religione, voglio attirarli a Cristo. Quando parlo di Dio, aiutata anche dai passaggi della Parola, subito mi chiedono se sono Testimone di Geova. Magari mi ringraziano per quello che dico, ma poi il discorso finisce lì. Pur mantenendo un buon rapporto con tutti.

Cosa vi augurate che cambi ancora, nelle prossime generazioni, da un punto di vista spirituale? 

Giulio: Pur non essendo assolutamente dell’idea di imporre questo stile di vita, credo però che sia buono per molte persone trovare il Signore nel proprio cuore, attenendosi ai principi di un’esistenza cristiana. Tante volte ci si vergogna a parlare di questo, tante volte siamo increduli, invece dobbiamo crederci di più. L’uomo ha bisogno di credere in qualcosa. E poi il confronto, il dialogo, il conoscersi, è importante e può aiutare tutti. E infine sogniamo di allargare il conforto a quante più persone possibili.

Carmen: Il mio augurio è quello di continuare a fare del bene, e mostrare che ancora esiste in questo mondo, nonostante i segni apocalittici. Perché un domani io voglio sentirmi dire: “Bene hai fatto mio servitore fedele, entra nella gioia del Signore”. Io ho avuto tanto da lui; la sua pace! Quello che fa ricchi è la benedizione del Signore!