È un prete sostanzioso e dolce: come l’«emogeno», il suo intruglio di erbe medicinali con cui rinforza i chierici affetti da anemia e cura la scrofolosi dei bambini; come il miele che ricava dai suoi alveari e che regala ai poveri, perché possano gustare un po’ della dolcezza di Dio. Originario di Genola (vi è nato nel 1886), don Secondo Bonavia vive a Centallo 32 dei suoi 67 anni, sempre come vice-parroco (o “curato”, come si diceva all’epoca), non accettando mai di avere una parrocchia tutta sua e spendendosi invece interamente, tra i bambini e accanto ai malati.
Pensare a don Bonavia è vederlo così: sempre un po’ affannato, sempre in agitazione per il suo ministero, fisicamente un po’ pesante nell’incedere, un sacerdote che non si risparmiava ma: così lo descriveva don Lenta, che gli era vissuto accanto alcuni anni, ma gli anziani di Centallo preferiscono ricordare, invece, la sua fedeltà al confessionale: anche cinque o sei ore filate, specialmente il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Confessore ricercato da tutti, ma specialmente dagli uomini, preferito dai malati e dagli anziani, diventa quasi un’esclusiva di quanti dopo tanto tempo vogliono riavvicinarsi a Dio. In particolare, aveva testimoniato don Minero, è considerato il “confessore ordinario” dei carrettieri e dei negozianti dei dintorni, che prima di passare a miglior vita vogliono solo lui per regolare i loro conti con il Padre Eterno. Anche però nell’oratorio e sul palco del teatro marca la sua presenza: recite e passatempi, partite di calcio e giochi di squadra vedono impegnato quel prete che non si risparmia neppure con i giovani malgrado l’età, evidentemente perché è giovane dentro.
Tra i difetti che gli si riconoscono il più grave sembra quello di non saper dare un limite alle sue prediche: in parrocchia erano famose le sue prediche troppo lunghe ricordava don Battistino; quando saliva il pulpito, spesso la gente bisbigliava, quasi a rassegnarsi a restare in chiesa oltre il tempo necessario. L’arciprete don Fodone quando era passato il limite ragionevole, suonava la campanella del presbiterio per ricordargli che occorreva finire, oppure gli mandava un chierichetto su per la scaletta del pulpito, con l’incarico di tirargli la talare per avvisarlo che si era fatto tardi. Su un particolare le testimonianze concordano: “le sue tasche sono perennemente vuote, perché con regolarità regala tutto: ai poveri di passaggio, che sono sempre tanti; ai malati, naturalmente senza mutua, che devono pagarsi medico e medicine; alle famiglie numerose, alle quali in modo anonimo fa recapitare pane e companatico. I suoi vestiti (e se ne accorgono specialmente rivestendone la salma) sono rattoppati e consunti, perché per sé non compra niente e i capi migliori, che a volte qualcuno gli regala, trovano subito un altro destinatario nel primo povero che bussa in canonica o che va a trovare a casa. Il suo mezzo di locomozione è la bicicletta, alla quale negli ultimi anni ha fatto applicare un piccolo motorino (‘il mosquito’0) e con quella girava di casolare in casolare, in ogni stagione. Si dava anche il caso che il motorino si inceppasse: allora, ansimando, lo spingeva per le strade fangose di Crosia e dei Sagnassi o se lo portava addirittura in spalla”. Il motivo di quel suo eterno ed affannato movimento da una casa all’altra è, principalmente, la cura pastorale degli anziani e dei malati, che va a scovare e visita con regolarità, specialmente in occasione del primo venerdì del mese, anche se per lui ogni occasione è buona per visitare un malato, consolare una famiglia, avvicinare i “lontani”.
Così fa anche il 10 febbraio 1953, alle sei del mattino, partendo in mezzo al nevischio e con una temperatura polare, per andare, naturalmente in bicicletta, a portare la comunione a Cascina Nuova, alla Brignola. Un’ora dopo qualcuno corre in canonica a chiamare don Genesio, che trova don Bonavia nella stalla, accanto al letto dell’ammalato: il capo reclinato, gli occhi socchiusi. Le mani gonfie di geloni, coperte da vecchi guanti sdruciti, stringevano ancora sul petto la teca del Santissimo, per la comunione dell’infermo. Era ancora caldo. Un infarto lo ha stroncato mentre ascolta la confessione di nonno Alladio e prima che abbia potuto dargli la comunione. Una morte “ordinaria” e silenziosa, secondo il suo stile, che invece finisce per avere risonanza nazionale: ne parla per primo “L’Osservatore Romano”, criticando i “giornali laicisti” che hanno pubblicato con evidenza l’uccisione del monsignore napoletano Beneduce, accoltellato il 13 febbraio in situazioni non certamente limpide, sottacendo invece la morte di quel prete centallese che non si è mai risparmiato, avvenuta per troppo zelo sacerdotale. Così anche “Il Paese”, “L’Avanti” e perfino “L’Unità” devono parlare di don Bonavia, il prete dal cuore affaticato e consunto, che Centallo già da tempo venerava come un santo e che quella morte “sul campo” finisce per trasfigurare e consegnare alla storia.