Caterina, la “maestrina” di Levaldigi

Gerbaudo Caterina

12 settembre 1942: è un sabato, è la festa del Nome di Maria e sul finire del giorno, dopo breve malattia, muore Caterina Gerbaudo. È la Fedeltà del 23 settembre a darne l’annuncio, sottolineando come “la dolorosa notizia sparsasi in breve nel paese ha destato in tutta la popolazione un’impressione profonda di vivo cordoglio e di grande rincrescimento”. “Perché”, continua ancora il settimanale, “Caterina Gerbaudo era una di quelle nobili figure che dimenticando se stesse sono tutte per gli altri pur di fare del bene”. Il che è già un gran bel complimento. Ancor più ammirati, però, si resta nel leggere quanto l’anonimo articolista racconta della di lei vita: “Credo di non errare affermando che non ci sia in parrocchia una famiglia che non sia stata visitata dalla maestrina…”. Infatti, a Levaldigi, per tutti era semplicemente “la maestrina”.

Il primo a parlarmene è stato Vigi Toselli, un nonnino di Mellea a me carissimo, che era nato a Levaldigi. Di lei non ricordava né il nome né il cognome, ma non aveva dimenticato “la maestrina”, cioè la donna minuta e discreta che gli aveva insegnato a servir messa. “Ci faceva andare a casa sua - ripeteva nonno Vigi -, lei faceva la parte del prete, noi imparavamo tutto da lei, anche le preghiere in latino: io ero talmente piccolo che non riuscivo neanche ad arrivare all’altare e spostare il messale per me era una vera impresa perché era troppo pesante…lei mi faceva coraggio, mi ripeteva le cose finché non le imparavo… Ah, la maestrina…”. Maestra lo era per davvero, anzi la prima maestra dell’asilo levaldigese e per quasi 50 anni, ma l’insegnamento non rappresentava che una parte della sua vorticosa attività giornaliera. Il suo elogio sulle colonne de la Fedeltà (23.09.1942) continua infatti così: “Dire della sua laboriosa e diligente attività non è cosa tanto facile. Aveva 69 anni e solo da poco aveva lasciato l’insegnamento per un ben meritato riposo. Insegnamento che essa impartiva con passione materna per circa una cinquantina d’anni: e con quale frutto lo possono affermare quasi tutti i padri e le madri di famiglia che l’ebbero a maestra. I bambini dell’asilo formavano la sua gioia e i suoi conforti e tra i quali e per i quali consumò e sacrificò la sua nobile esistenza, sempre tutto a onore e a gloria di Dio. Ma la sua attività si estendeva ad altre opere importanti per il servizio della parrocchia. Catechista benemerita e apprezzata, segretaria del gruppo Donne cattoliche, carica che copriva con molta diligenza e comune soddisfazione, collettrice zelantissima delle opere Propagazione della fede, S. Infanzia e Clero indigeno. Assisteva volentieri i ragazzi per le Confessioni e Comunioni: in breve era veramente il braccio destro del parroco”. Sembra di vederla: una donna in continuo movimento, sempre pronta ad “uscire” per andare verso gli altri, portando ad ognuno un consiglio, una parola buona, un aiuto. Veramente una donna “in uscita”, un’icona tutta levaldigese per questo anno pastorale in cui siamo invitati ad essere “Chiesa in uscita”, e nel quale “la maestrina” non si troverebbe per niente a disagio, perché già abituata ai suoi tempi ad essere donna dalla dimensione missionaria permanente. Il settimanale diocesano, ricordando che “l’Amministrazione dell’asilo le passava annualmente una modestissima pensione come attestazione di riconoscenza”, si augurava che “la sua memoria resti in benedizione e la riconoscenza dei cari ed innocenti bambini, a cui beneficio ha voluto legare ancora quel poco che le rimaneva, sarà imperitura”. Davvero interessante è la conclusione dell’articolo: “Non avendo parenti, a tutti i buoni raccomandiamo di ricordarla nelle loro preghiere”. Chissà mai che anche oggi ci sia qualcuno che preghi per lei, anche se la sua tomba non l’abbiamo più trovata e sembrava che il tempo avesse cancellato anche il suo ricordo. Forse occorrerebbe trovare a Levaldigi un posticino per apporre una lapide, o almeno una targa, per lei e la meriterebbe davvero, perché “la maestrina” era una donna “in uscita” che seminava amore tra i bambini e nessuna famiglia di Levaldigi le era estranea. E Dio solo sa il bisogno che ne avremmo anche oggi!