Per questo a don Bertotti nessuno nega per strada un rispettoso “cerea priur”, anche da chi in chiesa non si fa mai vedere e in tasca ha una tessera che, per altri preti, puzza di satanismo. Se non fosse irrispettoso, si potrebbe dire che questo priur dalla tonaca lisa e dal fare faceto è l’autentico inventore della “mangialonga”, perché ha trovato il modo di entrare nelle case, soprattutto in quelle dei non praticanti, con la scusa di un “assaggio”. Sul far del mezzogiorno, quando le donne iniziano a trafficare attorno al putagé e la famiglia pian piano si raduna per il pranzo, egli passa, mani dietro la schiena e passo lento, da un uscio all’altro, nelle viuzze del suo Burguè, mettendo dentro ogni cucina prima il naso e poi la testa, per informarsi cosa di buono sta cuocendo sui fornelli. Mezzo mestolo di qua, mezzo di là, con magari a volte la variante di una fettina di salame o di formaggio, il pranzo del priur è interamente servito, senza che questi si sia dimenticato di informarsi sulle novità di famiglia, di suggerire una parola buona o di lasciare, quando occorre, un aiuto discreto, senza mortificar nessuno e facendosi anzi benvolere da tutti.
Con un prete così, diremmo oggi “costantemente in uscita”, l’anticlericalismo è sconfitto in partenza, anzi pure la sua chiesa (prima l’antico san Giovanni, poi il bel san Filippo) comincia a riempirsi e i banchi non sono più così desolatamente vuoti. E può anche succedere che a Borgovecchio, come nella più famosa Brescello, pescatori e muratori non propriamente abituati alla messa quotidiana facciano però a gara, e magari litighino tra loro, nel voler trascinare con le loro robuste braccia il carro trionfale della Madonna per “fè piasì al priur” o nel prestare gratuitamente la loro opera per costruire il pilone mariano all’ingresso di corso Trento, cui don Bertotti tiene tanto. Sono le intime soddisfazioni del prete semplice, che nei ritagli di tempo lasciatigli dai parrocchiani insegna pastorale in seminario (e chi, meglio di lui, potrebbe?) ed è l’anima dell’oratorio San Luigi; per alcuni anni è redattore de La Fedeltà e, praticamente fino alla fine, suo valido collaboratore; inoltre per 25 anni è assistente della Gioventù Femminile, coltivando un sacco di vocazioni, che probabilmente si ispirano alla sua, così gioiosamente ed intensamente vissuta. Borgovecchio dimostra concretamente l’attaccamento al suo priore partecipando in massa ai festeggiamenti che il curato don Genesio, prima di andare parroco a Salmour, organizza il 5 ottobre 1955: si tratta di un anticipo del giubileo sacerdotale (che di per sé cadrebbe soltanto a settembre dell’anno successivo), tradotto in una corale attestazione di stima e di affetto per un prete che si è davvero fatto tutto a tutti.
È anche l’occasione (e il nostro giornale puntualmente lo annota tramite la penna del can. Panero) per enumerare le benemerenze del priur, dal giardino della parrocchia donato per la costruzione del nuovo seminario, all’organo di san Giorgio regalato alla parrocchia di Monsola; dai giochi da bocce offerti alla Forti e Sani insieme ad alcune stanze della canonica, alla costruzione dalle fondamenta delle Confrerie di san Giorgio per dare ospitalità a donne anziane e sole, in cui ha investito fino all’ultimo spicciolo tutte le sue sostanze. Avvicinandosi all’ottantina, il suo fisico comincia farsi cadente e la salute sempre più cagionevole, malgrado le premurose cure dispensategli con affetto di figlio dal dottor Viglietta. Si spegne nel pomeriggio del 17 dicembre 1962 e, in occasione dell’ormai prossimo sessantesimo della morte, non sarebbe davvero fuor di luogo che Fossano e il Borgovecchio lo ricordasse in modo tangibile.
(2 - fine)