La “valanga populista”, lo “tsunami nazionalista”, e il Parlamento europeo che “cambia faccia”. Erano queste le parole d’ordine e le attese per alcuni, le minacce secondo altri. Le elezioni del 23-26 maggio avrebbero dovuto segnare lo spartiacque tra la “vecchia” e la “nuova” Europa: l’archiviazione del disegno d’integrazione politica dei padri fondatori Schuman, De Gasperi e Adenauer, per un nuovo capitolo di “Europa degli Stati” come forse l’avevano immaginata De Gaulle e la Thatcher. Tutto ciò sotto la spinta di leader del calibro di Le Pen, Orban e Salvini, del ritrovato “orgoglio nazionale” che, alzando muri e frontiere, avrebbe riportato – a dispetto delle grandi sfide globali – le grandi scelte politiche in seno ai governi nazionali, assegnando all’Unione europea un ruolo marginale. “Quando saremo a Bruxelles e Strasburgo cambieremo i Trattati, cambieremo questa Europa…”, avvertivano i sovranisti di ogni nazionalità. Ma forse le cose sono andate diversamente… Continua a leggere
Gianni BORSA (fonte SIR)