Mohamed Ba, nell’Italia di oggi ci vuole un “Riscatto”

Seconda serata di “Migrazioni”, festival fossanese promosso dalla Corte dei Folli

L'artista senegalese Mohamed Ba a Fossano per Migrazioni

Come già martedì sera, con lo spettacolo “Umanità”, anche ieri sera (mercoledì 11 luglio) con “Il riscatto” è l’essere umano ad essere al centro della riflessione. L’essere umano tout court, indipendentemente dalla lingua che parla, dal credo che professa, dal colore della pelle. È questo il grido che emerge con forza dai primi due appuntamenti di “Migrazioni”, il festival promosso dalla Corte dei Folli con vari appuntamenti a Fossano fino a domenica.
Ieri sera è toccato a Mohamed Ba raccontare, sul palco dei Battuti Bianchi, lui, la sua voce, il suo tamburo, come vede il mondo un immigrato senegalese che vive e lavora in Italia ormai da sedici anni. E lo ha fatto con passione e determinazione, in perfetto italiano, arrivando dritto al cuore del numeroso pubblico presente. Il monologo di Ba alterna scampoli di riflessione sulle cause delle migrazioni, sulle rotte dei migranti, sul rapporto tra Europa e Africa, sulle disuguaglianze… a momenti più drammatici. Particolarmente incisivo il racconto in prima persona di un profugo che vede morire a poco a poco i suoi compagni sul barcone in viaggio verso le coste italiane. In mezzo al nulla assoluto, armato solo della speranza di essere visti, salvati (ma anche Dio sembra averli abbandonati…). Fino a che incontra un pescatore italiano che gli offre cibo ma che, a causa di “leggi scritte dagli uomini”, non può caricarlo a bordo pena la confisca della sua barca, garanzia di lavoro e sostentamento per lui e la sua famiglia. Per l’Italia, la strada che porta a rimettere l’uomo al centro è una sola secondo Ba: ripartire dalla sua cultura, dai grandi artisti, filosofi, umanisti e poeti del passato. Come il sommo poeta, le cui parole l’artista senegalese prende a prestito per concludere il suo spettacolo. Sì, perché gli ultimi 5 minuti recita dapprima alcuni versi tratti dal 6° canto del Purgatorio, invettiva di Dante all’Italia e a Firenze (“Ahi serva Italia, di dolore ostello,nave sanza nocchiere in gran tempesta,non donna di provincie, ma bordello!) per chiudere poi con i celeberrimi versi 118-120 del 26° canto dell’Inferno, pronunciati da Ulisse: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.