A Centallo il “frate che guariva” (1ª parte)

Per le strade di Centallo ha passeggiato un santo autentico, di cui nel 1881 sono state riconosciute le virtù eroiche e di conseguenza è stato dichiarato venerabile: a Dio piacendo, dunque, mancherebbe soltanto la “firma” divina di un miracolo per arrivare alla beatificazione e anche Centallo avrebbe finalmente “un santo a cui votarsi”. Anche se questo onore, è necessario precisarlo, non essendo l’interessato centallese di nascita, dovrebbe dividerlo con Cuneo (che gli ha dato i natali, lo ha visto morire e ne custodisce le spoglie) e con le altre località in cui ha soggiornato; ma volete mettere cosa significhi avere “un santo in paradiso”, anche se in regime di condivisione? In effetti, per il padre Benigno Dalmazzo, Centallo non è stata una tappa tra le tante della sua vita di “pellegrino del buon Dio”, perché proprio a Centallo è iniziata la sua avventura di “frate che guariva”.

Nato in Cuneo il 23 aprile 1673 e registrato all’anagrafe come Giuseppe Dalmazzo, allievo dei Gesuiti e giovane in ricerca, approda alla vocazione religiosa dopo un travaglio non indifferente, contrassegnato da crisi di coscienza e malanni fisici. Ad orientarlo tra i Francescani è forse la sua grande devozione alla Madonna venerata nel santuario cuneese degli Angeli, addossato al quale c’è il convento francescano nel quale entra a 16 anni, cioè nel 1689. Ordinato prete nel 1697, l’anno successivo è destinato al convento San Giuseppe di Centallo, dove è incaricato di insegnare filosofia. Vi resta quanto basta per accorgersi che attorno a lui si verificano segni prodigiosi di cui egli stesso è il primo a stupirsi: ciechi che riacquistano la vista, storpi che si raddrizzano, muti che parlano, malati terminali che improvvisamente sono risanati per il solo effetto di una sua preghiera o una sua benedizione.

Nel 1701 è trasferito con il gruppo dei suoi allievi a San Giorgio Canavese, per dettare loro, in quel convento, il corso teologico, anche se il padre Benigno si accorge, e lo manifesta apertamente ai superiori, di sentirsi più chiamato alla predicazione che all’insegnamento. I superiori se ne convincono dopo tre quaresimali (predicati a Roccaforte, Vinadio e San Giorgio Canavese) che ottengono frutti insperati di conversione e che fanno desiderare che egli si possa dedicare a tempo pieno alla predicazione, anche per soddisfare le richieste che continuano ad arrivare dai paesi di tutto il Piemonte e anche da oltralpe. Ed è così che viene esonerato dall’insegnamento e assegnato al convento torinese Madonna degli Angeli, da dove si sposta a predicare a Piobesi, Moncrivello, Cavallermaggiore, Scarnafigi, Vinovo, Trino, Strambino, Buttigliera d’Asti, Bische e Diano d’Alba. Nell’autunno 1716 varca le Alpi a piedi, fermandosi a predicare a Mentone, Monaco, Nizza e Sospel, in Costa Azzurra. Nel 1718 e fino al 1722 è nuovamente a Centallo, sempre con il suo fagottino pronto per andare là dove lo chiamano.

Rientrato nel convento di Torino, da qui inizia un giro di predicazione nel monregalese (Pian della Valle, Mondovì, Frabosa, Villanova, Ormea, Monastero, Pianfei, Roccaforte). Forse sta chiedendo troppo al suo fisico, che i biografi descrivono “di statura media, di corporatura esile, di salute cagionevole, spesso febbricitante”: il crollo si verifica nel 1723, mentre si sta recando per una missione a Chiusa Pesio, naturalmente a piedi. Dopo essere caduto completamente privo di forze sul ciglio della strada, è costretto a fermarsi un anno per rimettere in sesto la sua traballante salute. Le numerose guarigioni che accompagnano le sue predicazioni non possono fare a meno di suscitare l’invidia, in particolare, di un confratello, tanto vanitoso quanto da lui distante per santità di vita e capacità oratoria, che gli fa vedere le pene dell’inferno, mettendo in circolazione accuse infamanti sul suo conto. Devono intervenire i superiori, che fanno cambiare aria ad entrambi e, in particolare, confinando Benigno a Cimiez, dove resta poco più di dodici mesi, il tempo cioè che le accuse si smontino e l’invidia sbollisca. Di ritorno da Milano, dove ha predicato il quaresimale del 1728, il padre Benigno si ammala di nuovo e così seriamente da essere dichiarato in fin di vita. Non si sa come né perché, ma anche questa volta riesce a scamparla e lo assegnano al convento di Cuneo, da dove non si sposterà più. Anche perché la salute comincia seriamente a declinare: nel 1732 è reso quasi cieco da una infiammazione agli occhi che lo limita fortemente nei suoi spostamenti e anche nella predicazione; nel 1741 una fortissima febbre lo indebolisce completamente; nel 1743, infine, arriva una paresi che lo limita anche nell’uso della parola. Muore il 19 settembre 1744 agli Angeli di Cuneo, mentre la città è stretta da uno dei suoi numerosi assedi: non prima però di aver predetto la liberazione della città, che puntualmente arriva 33 giorni dopo la sua morte.

(1-continua)