“La Chiesa si assuma, come istituzione, la responsabilità della difesa dell’Amazzonia”. È l’appello lanciato da Patricia Gualinga, leader indigena nella difesa dei diritti umani delle comunità Kichwa di Sarayaku, in Ecuador, durante il briefing di oggi sul Sinodo per l’Amazzonia. A chiedere di “rispettare i diritti dei popoli indigeni garantiti dalla Costituzione” sono stati anche mons. Roque Paloschi, arcivescovo di Porto Velho, e Felicio de Araujo Pontes Junior, procuratore della Repubblica, specialista in diritti dei popoli indigeni, entrambi brasiliani. “La Costituzione del 1988 – ha spiegato Paloschi – prevedeva che entro il 1993 tutte le terre dei popoli originari dovessero essere demarcate, omologate e registrate, mentre ne sono state demarcate nemmeno un terzo, e quelle che non sono state demarcate sono state invase, prese di mira dai cercatori d’oro, dalle industrie minerarie, dalle industrie del petrolio e da quelle dello sfruttamento del legname. L’organo di governo che dovrebbe vigilare è stato preso di mira e indebolito dallo stesso governo, ma noi abbiamo i nostri diritti e la nostra lotta da portare avanti dal nostro supremo tribunale”. “Bisogna scegliere tra due modelli”, ha spiegato il procuratore della Repubblica: “il modello predatorio, tipico delle multinazionali, e quello socio-ambientale, che rispetta il rapporto delle popolazioni indigene con la propria terra. Ogni quindici giorni viene scoperta una nuova specie nella foresta amazzonica, e le monoculture distruggono tutta la biogenetica presente. È un crimine di cui sono vittima gli indigeni, che sono i gendarmi della foresta.
Bisogna dimostrare che, anche dal punto di vista economico, vale la pena tenere la foresta in piedi, passando da una società colonialista ad una società pluralista”. Continua a leggere
M.M.Nicolais (fonte SIR)