Da Montarossa al Brasile, una vita lunga un martirio (1ª parte)

don Sebastiano Bedino

“Piuttosto di vegetare nel conformismo ha preferito misurare i confini della Chiesa di Dio. Ha visto che si estendevano oltre Montarossa, oltre Fossano, oltre l’Italia. Ha scelto il luogo dove il lavoro era immenso ed estremamente arduo. Non si è fermato a calcolare. Il suo cuore sacerdotale gli imponeva di trovare spazio per realizzare la sua vocazione. Lo ha trovato e vi si è immerso fino ad irrorarlo con il suo sangue”. Così don Giorgio Martina, quasi quarant’anni fa, annuncia dall’articolo di fondo del nostro settimanale, la cruenta morte del “fidei donum” don Sebastiano Bedino.

Nasce a Grinzano il 28 febbraio 1916, ma a quattro anni segue la famiglia che trasloca a Montarossa. Secondo la sorella Caterina “era un bambino già segnato da Dio, non era come gli altri. Ogni giorno pregava molto. Durante i lavori in campagna recitava sempre il rosario”. Eppure, in seminario entra molto tardi, perché la famiglia, undici figli in tutto, ha bisogno di lui per coltivare i campi e, più tardi, per arrotondare le entrate con i suoi saltuari lavori da muratore. “Lavorava come gli altri, ma era più buono perché aveva più pazienza”, ricorda la sorella Giuseppina. Morta la mamma e con i fratelli che pian piano si sistemano (anche due sorelle rispondono alla vocazione religiosa diventando suore) va a Lanzo Torinese dai Salesiani, ma deve interrompere gli studi perché chiamato alle armi. Dopo la guerra chiede al vescovo di poter entrare nel seminario di Fossano, superando il vaglio della vocazione e le difficoltà che normalmente si frappongono in simili casi davanti a vocazioni adulte. “Le normali capacità intellettive gli avevano consentito di completare gli studi con una certa fatica, a causa anche della non più giovane età”, ricorda don Martina, mentre don Pettiti, più esplicitamente, riferisce che “ebbe problemi e difficoltà negli studi, incontrò resistenze da parte dei superiori”.

Tutto nella norma, nessuna corsia preferenziale per questa vocazione adulta, che malgrado tutto approda al sacerdozio il 29 giugno 1950, a 34 anni suonati (insieme a lui vengono ordinati don Francesco Chiaramello, don Giuseppe Piumatti e don Felice Favole) e inizia il suo ministero: prima viceparroco a San Lorenzo, poi a Salmour, cioè in parrocchie in cui, anche 60 anni fa, un prete era più che sufficiente a soddisfare i bisogni spirituali di tutti. “Eravamo negli anni Cinquanta - ricorda don Martina -, in piena fioritura di vocazioni e quindi con abbondanza di sacerdoti. Basti ricordare che allora parrocchie come San Lorenzo, San Sebastiano, Roata Chiusani, Salmour, Gerbola, Vottignasco avevano il vice curato. Una presenza che, se in alcuni casi poteva essere valida per l’anzianità del parroco, non offriva tuttavia spazi di lavoro per lunga parte dell’anno, per un giovane prete”. Di qui la decisione di don Bedino di cercare altri spazi per esercitare il suo ministero. Chiede di partire per l’America Latina, un gesto, nei ricordi di don Martina, “coraggioso ed esemplare, ma che anche per un uomo della sua età e della sua forza di carattere costò non poca sofferenza… dopo averci salutato alla stazione, con gli occhi gonfi di lacrime, salì sul treno e si raggomitolò nel suo scompartimento senza più riaffacciarsi al finestrino”.

È il 12 gennaio 1955 e la sua destinazione è il Brasile, dove si mette a disposizione del vescovo di Rio de Janeiro nella cui periferia comincia ad operare, inizialmente a Nossa Senhora de Concepḉão a fianco del fossanese don Lingua, poi in altre due località fino a che si vede assegnare una parrocchia di 50 mila abitanti, la cui unica “struttura” a disposizione per le attività pastorali è… un ampio appezzamento di terreno su cui sorge una semplice baracca in legno. È ancora adesso un mistero di come riesca in poco tempo a realizzare, su quella vasta area, prima una scuola (che ospita da 400 a 800 allievi, dalle elementari alle magistrali), poi una maestosa chiesa dedicata a San Lorenzo (che forse gli ricorda l’ultima parrocchia in cui è stato viceparroco nella nostra diocesi) e per ultima anche una funzionale canonica, che diventa il centro pastorale e il motore di tutta l’attività parrocchiale.

(1-continua)