Di tutto il complesso che celermente sorge a Bangù, nella periferia di Rio, don Bedino è il progettista e il costruttore: per la serie “impara l’arte e mettila da parte”, gli son tornate certamente utili le esperienze da muratore acquisite in gioventù a Cervere, fondamentali sono state la collaborazione e il lavoro dei parrocchiani, ma per tutto il resto si è semplicemente affidato alla Provvidenza e al suo senso pratico di buon cuneese, che sa rimboccarsi le maniche. Della scuola, ricorda don Pettiti, “fu, oltre che fondatore, anche preside ed egli vi scherzava sopra con gusto: «Chi l'avrebbe detto quando vicecurato a San Lorenzo a Fossano piantavo i porri!?!»". A Bangù, nella “sua” San Lorenzo, oltre 23 anni di lavoro umile, silenzioso, indefesso, facendosi amare dalla popolazione per la sua profonda bontà e la sua capacità di ascoltare, pronto a farsi da parte quando viene costruita una scuola statale ed egli allora, umilmente, “converte” la sua in asilo per i più piccoli e cede gli altri locali alla diocesi che vi trasferisce gli uffici del Vicariato. Accanto a lui, nelle parrocchie confinanti anche se a decine di chilometri di distanza, oltre ai già citati don Pettiti e don Lingua, lavora anche don Luigi Bruno e alcuni altri sacerdoti romani: un “pezzo d’Italia” a servizio della terra brasiliana, per la quale si spendono con generosità, senza risparmiarsi.
Per il tanto lavoro, il clima torrido e qualche problemino di salute, però don Bedino si ammala seriamente e il vescovo gli fa cambiare aria per un periodo di convalescenza. I suoi parrocchiani, sentendone la mancanza, organizzano addirittura un pullman per andarlo a trovare, “perché gli volevano molto bene”, testimonia don Pettiti, mentre don Lingua lo ricorda come “prete di molto buon senso, di una profonda umanità, con tanta virtù sacerdotale, che ha marcato la presenza di Dio”. Nella sua umiltà amava ripetere che stava tappando un buco - aggiunge don Pettiti -, il Signore gli chiese molto di più: l'offerta della vita e il suo sangue”. Infatti, nelle prime ore di in un caldo pomeriggio brasiliano, mentre secondo il suo solito riposa e prega su una panchina nei pressi della sua chiesa, viene assalito da tre uomini armati che tentano di derubarlo di chissà che. Selvaggiamente bastonato e picchiato con calci e pugni dai tre ragazzi (che egli riconosce) viene lasciato in sacrestia sanguinante e tramortito. Malgrado l’immediato ricovero, arriva però già in coma all’ospedale, dove, per complicanze renali subentrate nella notte, muore nelle prime ore del mattino del 2 giugno 1981. “Non ho mai visto - scrive don Lingua - tanti giovani e tanti uomini piangere come alla sepoltura di don Bedino. Tutti ne sono rimasti sconvolti. Televisione, radio, giornali hanno esaltato unanimi il prete buono”. A destare sconcerto, soprattutto, il paradosso e la stridente contraddizione tra il carattere particolarmente mite e non violento del sacerdote e la gratuita efferata violenza che ne ha causato la morte. Uno dei tre rapinatori assassini, su cui da subito si sono concentrati i sospetti, viene sommariamente giustiziato a furor di popolo e trovato impiccato: si tratta di un ragazzo di 17 anni e subito il nipote di don Bedino, che sul finire degli anni Sessanta aveva seguito lo zio a Rio, prende le distanze e condanna senza appello la barbara esecuzione: “La violenza contro quel giovane non doveva essere compiuta. Doveva essere arrestato e rispondere alla giustizia del suo delitto. Mio zio l’avrebbe perdonato, era un uomo dal cuore d’oro”.
Don Alessandro Lingua, molto provato dalla perdita dell’amico, auspica che “don Bedino dall’alto infonda un po’ di spirito missionario perché i preti siano un poco di più cattolici e pratichino quello che Cristo esige dai chiamati: «Va’ e insegna»”, mentre don Pettiti invita a chiedere “che sia realtà anche in queste terre quello che disse Tertulliano “sanguis martirum, semen christianorum”. Anche se non lo possiamo chiamare e venerare con il titolo canonico di martire, don Bedino è stato un vero testimone: e in greco testimone si dice appunto martire”.
(2-fine)