Il “Frassati” di Villafalletto (2ª parte)

Giovanni marengo, originario di Villafalletto

Da quel giorno le porte della canonica di Tenda si aprono volentieri ogni sera, durante la libera uscita, per accogliere Giovanni Marengo e i suoi compagni: è un modo per offrire a questi giovani di Azione Cattolica un ambiente sereno e sicuro, dove si gioca, si scherza e si canta, dando spazio anche alla preghiera e alla formazione, perché la spesso troppo dissipante vita militare non disperda il cammino spirituale che ciascuno ha compiuto nella propria parrocchia. Sarà proprio don Corengia, dal quale Giovanni si confessa con regolarità e che invariabilmente saluta con il suo “sia lodato Gesù Cristo che con tanto sentimento ed effusione d’animo sempre pronunciava”, a rilasciare una commovente ed edificante testimonianza sulla vita militare tendese del ragazzo di Villafalletto. Condividendo con Giovanni gli appuntamenti quotidiani con la Comunione e con la recita del rosario, questi commilitoni si accorgono (come testimonia l’artigliere Meazza) che “ci superava non poco nel contegno spirituale”, anche se, nei ricordi di Tallone, per il suo desiderio di perfezione Giovanni “si lamentava d’essere spesso distratto, ma la sua compostezza mostrava una grande pietà, specialmente con il suo raccoglimento dopo la Comunione”. Ne ammirano la disponibilità “quando poteva portare il suo aiuto in chiesa, specialmente col servire la messa”; lo sanno “nemico spietato del rispetto umano” e “assai nemico dell’esteriorità”; concordemente affermano che “l’ozio non dev’essergli stato tanto amico e neppure le osterie: quando poteva far qualche passeggiata preferiva le montagne, perché gli sembrava di portarsi più vicino a Dio”. Soprattutto si accorgono che in lui “la pietà verso Dio si rispecchiava in tanta cortesia verso i suoi compagni”, tanto da non aspettare “che i compagni lo pregassero del suo aiuto, si offriva anzi generosamente ad aiutar tutti, tante volte anche a costo di sacrificio che egli sapeva dissimulare abilmente”, perché, come testimonia Augusto Carrer, “non attendeva d’essere richiesto, ma appena, anche lontanamente, intravedeva che qualche compagno abbisognava di qualche cosa, volentieri si privava del suo pur di aiutare, accontentare, sollevare”.

A dimostrazione, infine, che in lui ha lasciato profonda traccia l’accompagnamento spirituale di don Gerbaudo, solito ad inculcare la massima latina di Plinio “nulla dies sine linea” (cioè nessun giorno senza una linea, un passo in avanti), sempre allo stesso testimone non è sfuggito che Giovanni “si prodigava tutto a tutti ed ogni giorno per lui doveva segnare una buona azione”. Fatalità e banalità si fondono nel portare Giovanni ad una rapida e tragica fine. Tornato a Villafalletto per il Capodanno 1943, risale a Tenda sabato 2 gennaio e il mattino successivo è in chiesa, per i suoi irrinunciabili appuntamenti con la comunione e la sua confessione settimanale, mentre trascorre la serata in canonica, con gli amici di sempre, per le prove di canto, al termine delle quali si apprestano a tornare in caserma. Nel tragitto, poche centinaia di metri appena, a causa anche dell’oscurità particolarmente fitta in quelle ore, inciampa in un muricciolo, che ironia della sorte dovrebbe proteggere da eventuali cadute, e precipita a capofitto, per un paio di metri, nella sottostante scarpata. È una caduta banale, dalla quale Giovanni si rialza subito, risalendo da solo sulla strada, anche se al rientro in caserma appare strano e dolorante. I compagni di camerata, che non hanno assistito all’incidente, pensano alle conseguenze di una cattiva digestione e lo aiutano a coricarsi, ma il mattino successivo lo ritrovano in stato preagonico. Il medico dispone per l’immediato trasporto in ospedale, dove però Giovanni giunge ormai cadavere: a don Corengia il triste incarico di amministrare, su quella fronte ancora calda, l’Olio Santo. Nella camera ardente inizia da subito un pellegrinaggio incessante, non solo di militari, ma anche della gente di Tenda, alla quale, secondo la testimonianza dell’arciprete, per farla accorrere basta dire: “E’ quel militare che ogni giorno faceva la comunione e che in chiesa sempre aveva tanta compostezza e raccoglimento”.

Imponenti i funerali, che si svolgono a Tenda con la partecipazione delle autorità militari, e si ripetono a Villafalletto, dove nei giorni successivi è traslata la salma, scortata dal comandante del Reggimento e dall’arciprete di Tenda. Che è talmente convinto di aver incontrato in Giovanni un giovane esemplare “il cui ricordo indelebile né la forza né il tempo varranno a cancellare”, da appoggiare, sostenere e incoraggiare la raccolta di testimonianze tra i commilitoni, giurate in sua presenza, da utilizzare per scriverne la vita, che, egli si augura, “farà molto bene nel popolo e in mezzo ai soldati” e che don Giorgio Canale ha già progettato. Che poi non se ne sia fatto nulla non è certo colpa di Giovanni, ma don Corengia aveva ragione: il suo ricordo non si è davvero spento, neanche 76 anni dopo.

(2-fine)