È così che il 28 luglio 1872, a cinque anni dal suo insediamento, l’arciprete Corrado Onorato riunisce in comitato alcuni parrocchiani, per comunicare il suo desiderio di iniziare una campagna di decorazione interna della chiesa, di fatto avviata nei primi mesi del 1873 e conclusasi l’11 ottobre 1874, giorno della festa del paese, con la benedizione di Mons. Manacorda, che intanto, per i misteriosi intrecci della Provvidenza, è diventato suo vescovo. Così, ancora oggi, chi solleva lo sguardo alla stupenda volta affrescata, può ancora rintracciare i segni del gusto artistico e della vasta cultura teologica di chi è stato ispiratore di questo poema sacro e ha guidato i pennelli che vi si sono alternati, sostenendo una spesa complessiva di 55 mila lire, di cui oltre 35 mila interamente a suo carico.
Sette anni dopo fa eseguire la pavimentazione dell’intera chiesa, coprendo con 4 mila lire oltre metà della spesa, mentre nel 1882 investe 17 mila lire nella costruzione del nuovo organo Vittino, lo stesso che proprio nei mesi scorsi è stato restaurato. I suoi tanti sforzi per il decoro della chiesa parrocchiale non riescono tuttavia a fargli dimenticare, secondo la più genuina tradizione francescana, i bisogni dei poveri. “Questa talare non è degna di una parrocchia ricca come Centallo”, gli dicono, tra il bonario e il provocatorio i confratelli del convento torinese, dove di tanto in tanto vi si reca in visita, con addosso invariabilmente la sua talare scolorita e consumata. “Non me ne posso permettere una migliore”, è la sua altrettanto invariabile risposta, “perché la parrocchia di Centallo è soprattutto ricca di poveri”. E dice il vero, viste le numerose sacche di povertà, spesso celata, di cui la storia del secondo Ottocento ci ha conservato il ricordo. Diventano, così, provvidenziali le sue famose borse di viveri che fa recapitare davanti alla porta delle famiglie numerose, nel più assoluto anonimato e perlopiù di notte, per salvaguardare la dignità e la riservatezza dei beneficati. È stata mia madre ad insegnarmi a fare il bene in silenzio; e a lei l’aveva insegnato l’arciprete Corrado, che era suo direttore spirituale”, ripeteva ancora nel 1980 una centallese quasi novantenne, che spiccava nella San Vincenzo di allora per delicatezza e discrezione. Davvero, i santi insegnano anche oltre la morte.
E non stupisce nemmeno che non lascino all’erede “alcun bene di fortuna”, perché tutto han già distribuito prima. Buon per loro se quest’ultimo non accampa pretese perché della stessa tempra del testatore, come la sorella Carlotta, che dopo la di lui morte resta a Centallo per spendersi fino alla fine in opere benefiche, diventando direttrice, volontaria e gratuita, dell’asilo e dell’orfanotrofio: per questo è un vero peccato, oltreché profondamente ingiusto, che i centallesi l’abbiano dimenticata. Del vescovo Manacorda l’arciprete è senz’altro il più fidato collaboratore ed il più illuminato consigliere, anche nelle vesti “ufficiali” di Consultore ed Esaminatore sinodale. È opinione comune, infatti, che sia davvero insostituibile per il suo vescovo, in ubbidienza al quale rinuncia a tornare in convento, anche quando le mutate condizioni politiche glielo permetterebbero. Di tanto in tanto, quando cioè il tempo glielo consente, lascia riaffiorare in lui la passione dello storico e dell’uomo di cultura, che già prima di venire a Centallo si era cimentato in un autentico capolavoro di letteratura latina con la sua “Sinossi istorico-cronologica dell’alma Provincia torinese dei Frati Minori”. Il suo animo, sempre autenticamente monferrino, gli fa stendere uno studio approfondito sul santuario di Crea, che uscirà postumo nel 1889, mentre a Centallo dedica la sua “Relazione storico-descrittiva delle chiese di Centallo”, che fa di lui, in ordine cronologico, il terzo storico del paese.
La prima edizione di quest’ultimo vede la luce nel 1881 e al momento della morte i centallesi si autotassano per una ristampa in suo onore. Al nuovo volume vogliono far premettere l’elogio funebre, recitato dal vicario della diocesi monsignor Perucchetti in occasione della messa di trigesima, davanti al vescovo Manacorda commosso fino alle lacrime, in cui tra l’altro l’oratore afferma del grande arciprete centallese che “il Signore lo guidò per il retto sentiero, gli additò il Regno di Dio, lo fornì della scienza dei Santi”. Sono fortemente convinti di aver avuto un parroco santo, già da prima di quel 28 agosto 1888 in cui gli han chiuso gli occhi, e gli si rivolgono come ad un santo dell’altare, perché (come 60 anni dopo avrebbe cantato don Prandi) “dal suo labbro fluiva la parola/ che esorta, incita, illumina e consola./ In lui novel Francesco amor fiorì;/ amò i reietti, in povertà morì”.
(2ª parte - fine)