“Così cambia il volto del Monviso”

Intervista al geologo Enrico Collo sulla frana che si è staccata e che mostra come la Terra è viva

La frana che. lo scorso dicembre, si è staccata dal Monviso

Parli del paesaggio tra la nostra provincia e la Francia e subito pensi al Monviso. Il re di pietra se ne sta lassù immutabile, mentre le generazioni dell'umanità passano. "Immutabile", abbiamo scritto; ma non è del tutto vero, come probabilmente sanno i nostri lettori. Ne parliamo con il geologo accompagnatore naturalistico Enrico Collo, a margine di un servizio più ampio che sarà pubblicato su "la Fedeltà" in edicola da domani (mercoledì 22 gennaio).

La notizia l'abbiamo probabilmente letta tutti: "frana il Monviso". Che cos'è successo più precisamente?
Il 26 dicembre si è staccata una frana di crollo sulla parete nord-est del Monviso, preceduta nelle settimane precedenti da distacchi importanti di grossi blocchi di roccia dai torrioni Sucai, come riportato dai boati sentiti in numerose testimonianze locali. A livello geologico è un fenomeno naturale che si ripete con una certa frequenza anche a scala umana, confermato dai molti alpinisti che da sempre temono la salita su quel versante a causa dei continui sfasciumi, a volte grandi anche come pullman, e dal ricordo della grande frana staccatasi nella stessa zona nel luglio 1989, che coinvolse buona parte del ghiacciaio Coolidge e che arrivò a invadere il lago Chiaretto.

Che similitudini ci possono essere fra i due crolli, quello recente e quello del 1989?
Una similitudine accomuna le due frane, ossia le grandi perturbazioni che hanno preceduto i distacchi di massa. L’autunno appena trascorso verrà ricordato per le piogge persistenti responsabili delle alluvioni e delle frane diffuse che hanno colpito la pianura e le colline del Piemonte meridionale, a cui corrispondevano neve bagnata e valanghe in quota. Una grande quantità d’acqua caduta dal cielo che è penetrata in profondità nella parete del Monviso ed è andata a saturare la fitta rete di fratture che si intersecano reciprocamente, ricche di mineralizzazioni in quell’area che testimoniano reazioni chimiche e l’indebolimento della roccia, provocando infine lo scollamento e facendo perdere l’adesione fra gli strati rocciosi. Il crollo era dunque possibile, ma assolutamente non prevedibile in termini di data e ora, favorito inoltre dalle giornate tiepide che hanno preceduto il Natale e dai conseguenti processi di gelo e disgelo; come concausa si aggiunge, in questa fase climatica calda, lo scioglimento del permafrost, ossia la colla naturale di terreno ghiacciato che tiene unite le montagne sopra i 3.000 metri.

Dunque è un fenomeno normale?
Bisogna ricordare come tutte le pietraie di conoide detritica che osserviamo ai piedi delle montagne, con la tipica forma a tronco di cono, hanno avuto questo tipo di origine dovuta alla gravità. Esse hanno solitamente un’età inferiore ai 12 mila anni, da quando cioè i ghiacciai dell’ultima era glaciale si sono ritirati lasciando i versanti puliti e spogli, con grandi falesie in balia agli agenti atmosferici che da sempre svolgono il loro lavoro inesauribile di erosione, responsabili dell'evoluzione morfologica di spianamento delle creste montuose in tutto il mondo chiamata col nome suggestivo di peneplanazione. Dunque il Monviso si sta sgretolando, come giustamente riportato dai media in questi giorni, ma per nostra fortuna potremo ammirarlo ancora per un bel po’ di tempo.

Ci sono pericoli legati al clima?
Rimane in ogni caso l’emergenza per i frequentatori delle alte vette alpine, sia escursionisti ma soprattutto alpinisti, che si vedono chiudere vie di arrampicata ed escursioni sui ghiacciai, ma anche interi valloni come avvenuto lo scorso autunno in Valle d’Aosta.
L’emergenza climatica su cui molti insistono, a volte esasperando quelli che rimangono fenomeni naturali, ha un lato positivo: è necessaria una maggiore consapevolezza della cultura geologica del territorio. Proprio con questo spirito nel 1993, a seguito di un referendum popolare, vennero istituite le Agenzie regionali per la Protezione ambientale (Arpa), mentre il servizio precedentemente era affidato alle Unità sanitarie locali (le vecchie Usl)
I tecnici dell’Arpa sono prontamente intervenuti a monitorare la frana del Monviso l’8 gennaio scorso, rilasciando una scheda tecnica su di essa a cui seguiranno nuovi rilievi e invitando alla prudenza, in quanto i distacchi sono ancora in corso e non si escludono nuovi crolli di massa.

Cosa ci può dire sul Monviso geologico?
Il Monviso un tempo era il pavimento di un oceano, anzi il cuore stesso di una dorsale vulcanica oceanica, a oltre 4000 metri di profondità; poi è stato sollevato di oltre 8 km nella collisione fra l'Africa e l'Europa, ed è in questo grandioso movimento che si sono creati gli accavallamenti, le faglie e le fratture che oggi stanno cedendo. Ciò che vediamo oggi è lo scheletro di una montagna ben più imponente, che negli ultimi milioni di anni è stata consumata dall'erosione degli agenti atmosferici e dalle glaciazioni, in un lento lavoro di demolizione che non avrà mai fine. Ecco perché un geologo osserva con fascino e meraviglia anche gli eventi più catastrofici, come le eruzioni e i terremoti: semplicemente ci dimostrano che la Terra è viva e gode di ottima salute! Lo spirito dell'uomo invece vorrebbe che tutto rimanesse immobile, immutabile; è un pensiero inconscio che ci dà un senso di sicurezza, partendo da quando eravamo uomini preistorici e arrivando all’immoralità dei grandi geni come Galileo o Darwin che andavano a minare le basi stesse della perfezione statica dell’universo e delle creature che lo abitano. In realtà il motore dell'evoluzione sono le continue trasformazioni dell'ambiente che ci circonda, lo scandaloso pensiero dei continenti alla deriva su un pavimento fluido di magma, come predicava il martire della geologia moderna Alfred Wegener.

Perché secondo lei c’è stato tutto questo clamore legato alla notizia?
Mi piace pensare ad una motivazione di carattere antropologico. La grande frana del Monviso ha lo stesso impatto emotivo di massa dell'esplosione dello Stromboli la scorsa estate: sono episodi che colpiscono montagne simbolo, un tempo considerate sacre. Essi ci portano a riflettere: se crollano anche loro, che ne sarà di noi? Semplicemente ci ricordano che non siamo immortali, ed è questo il pensiero che ci spaventa.

A scuola ci hanno insegnato che la Pianura padana fu un mare. Diciamolo in estreme sintesi: com'è cambiato e come cambierà il nostro paesaggio?
Questo è il bello della geologia! Il paesaggio è in continua trasformazione: un grande personaggio come il fossanese Federico Sacco fu attratto fin da bambino dalle bellezze naturali osservando il Monviso dal castello di Fossano, oppure la voragine scavata dal fiume Stura passeggiando sul belvedere di viale Mellano. Quando e perché è successo tutto questo? Questa era la domanda che lo fece diventare un grande geologo. Poco tempo fa in una scala del tempo geologica, il panorama di Fossano era simile alle attuali foreste pluviali del Vietnam e il clima era tropicale: le prove sono nelle piante di una foresta fossile emersa nel 2016, datata a 4 milioni di anni fa e di cui a breve si racconterà la storia.