Come sarà la popolazione del Piemonte tra vent’anni? È possibile prevedere quali caratteristiche avrà? Nessuno possiede la sfera di cristallo per scrutare nel futuro, ma è possibile fare proiezioni e previsioni con metodi scientifici partendo da alcune tendenze in atto. È ciò di cui si occupa l’Ires da quasi trent’anni. Nel settembre scorso l’istituto di ricerca con sede a Torino ha pubblicato una ricerca dal titolo “La popolazione piemontese nei prossimi vent’anni” (a cura di Maria Cristina Migliore ed Elisa Tursi), ricca di dati, numeri, tabelle e riflessioni. Non si tratta di puro esercizio accademico, ma di un contributo molto utile, anche se estremamente complesso: “Prevedere la popolazione residente di un territorio – si legge nella introduzione della ricerca - è utile per programmare misure politiche in diversi campi: sanità, istruzione, formazione, ambiente, mobilità, lavoro, sviluppo economico, finanza pubblica”.
Il calo degli abitanti
La popolazione piemontese, nel periodo preso in esame che va dal 2018 al 2038, diminuirà di circa 97mila unità, passando da 4 milioni 376 mila a 4 milioni 279 mila abitanti. Le cause? Una bassa natalità e un ridotto numero di ingressi dall’estero. La componente che incide maggiormente nel determinare un calo della popolazione è la bassa fecondità, cioè il rapporto tra numero di nati e di decessi (saldo naturale) sbilanciato a favore di questi ultimi che ogni anno superano le nascite di circa 23 mila-25 mila unità. Per capirci, se consideriamo solo il saldo tra nascite e decessi è come se ogni anno in Piemonte scomparisse la popolazione del comune di Fossano. “Tale scarto – precisano i ricercatori - si inserisce in un contesto nel quale si prevede al 2038 un aumento delle speranze di vita alla nascita, pari a quasi 83 anni per gli uomini e 87 anni per le donne. A fronte di un saldo naturale negativo, i movimenti migratori non consentono, per quasi tutto il periodo di previsione, di compensare la perdita di popolazione dovuta alla carenza di nascite che caratterizza da tempo il Piemonte”. Tuttavia, i flussi migratori sono essenziali alla “tenuta” della popolazione nel suo complesso; il declino e l’invecchiamento della popolazione sarebbero ben maggiori in assenza di migrazioni.
Se non ci fossero migrazioni, e dunque agisse solo la dinamica naturale (cioè il saldo tra nascite e decessi), la popolazione del Piemonte diminuirebbe in venti anni di oltre 500mila unità, concentrandosi in particolare nella parte più giovane della popolazione (0-19 anni) che perderebbe 210mila unità. “Il contributo delle migrazioni - scrivono le ricercatrici dell’Ires - rallenterebbe tale processo: infatti, aumenterebbe il peso della popolazione più giovane e rallenterebbe l’aumento della popolazione anziana, oltre i 64 anni”.
L’ipotesi della ricerca è che la popolazione con cittadinanza straniera nel periodo di previsione rimarrebbe stabile: 425mila persone, cioè il 10 per cento circa. Ma è ovvio che è difficile prevedere i flussi migratori: “Il loro andamento dipende da fenomeni altamente imprevedibili quali le decisioni politiche in tema di regolarizzazioni o la stima della capacità di richiamo esercitata dal mercato del lavoro o i fattori di crisi nelle diverse aree del mondo”.
Le migrazioni non possono comunque modificare il “destino” della popolazione in Piemonte a causa della bassa natalità.
Bassa natalità
La bassa natalità è legata alla quota di popolazione femminile e al tasso di fecondità (cioè al numero di figli per donna). Il numero medio di figli previsto, 1,35 per donna, è molto distante dal tasso di sostituzione, che indica in 2,1 figli per donna il livello necessario per garantire il cambio generazionale. Un problema non solo piemontese (si veda l’intervista a Gino Grosso). “Senza il contributo delle donne immigrate, la numerosità della popolazione femminile nelle fasce di età a più elevata fecondità (20-49 anni) diminuirebbe sensibilmente”. Con l’apporto delle migrazioni, il numero delle donne in età 20-49 anni sarebbe in declino, ma in misura meno intensa.
Popolazione sempre più anziana
La popolazione è in calo, ma non in modo omogeneo. Il calo riguarda principalmente coloro che hanno un’età compresa tra i 45 e i 64 anni (oltre 235mila unità in meno) e, in secondo luogo, i giovani con meno di vent’anni (-40mila unità). Al contrario, nei prossimi vent’anni in Piemonte crescerà il numero di chi ha più di 65 anni (+157mila). In particolare, i “grandi anziani” di 90 anni e più, che oggi sono circa 60mila, nel 2038 potrebbero essere quasi 95mila, con un aumento del 57%.
In altre parole, la popolazione sarà sempre più anziana: nel 2038 le persone di 65 anni ed oltre rappresenterebbero, secondo le previsioni dell’Ires Piemonte, quasi un terzo (il 29,5%) della popolazione complessiva; gli under 20 anni il 16,4% dei piemontesi (ben sotto la media europea che è del 21% circa). A causa di questo fenomeno subirà una flessione anche la popolazione in età lavorativa, accompagnata da un certo ringiovanimento. In base alle previsioni, il peso degli anziani (65 e oltre) sulla popolazione in età attiva crescerebbe fino a contare 50 anziani ogni 100 individui tra i 15 e i 64 anni. “In sintesi - evidenzia la ricerca Ires - nei prossimi vent’anni la bassa natalità, da un lato, e la stabilità del contributo migratorio, dall’altro, produrranno uno stallo demografico che amplificherebbe la tendenza all’invecchiamento della popolazione e metterebbe in luce un rapporto tra i gruppi di età fortemente sbilanciato, a favore delle età più anziane”.
Nei prossimi decenni - concludono i ricercatori - si profila dunque uno scenario in cui una quota crescente di popolazione sarà pensionata e bisognosa di risorse, cure e assistenza, che dovranno essere fornite da una popolazione in età attiva in diminuzione. Con inevitabili ricadute sul sistema sanitario nazionale, sulla tenuta del sistema previdenziale, sulle famiglie.
Su La Fedeltà in edicola il 22 gennaio approfondimenti e interviste sulla questione della bassa natalità, sugli anziani e raffronti con altre regioni italiane e paesi europei