Egregio direttore,
domenica 26 gennaio (a Mondovì, Alba e Saluzzo) e domenica 9 febbraio (a Fossano e Cuneo) si celebra ufficialmente, nelle cinque diocesi della Granda, l’annuale “Giornata del Seminario”. Sul settimanale della mia diocesi, ma credo anche su quelli delle altre, per l’occasione sono comparsi vari interventi di carattere spirituale e pastorale, tesi a evidenziare la bella possibilità di donare se stessi e la propria vita per il ministero presbiterale.
A questo proposito vorrei proporre alcune riflessioni volando più basso, riflessioni molto realistiche, delle quali mi pare necessario tener conto se non si vuole navigare un po’ sulle nuvole, senza guardare in faccia la realtà. Che, diciamocelo francamente, è drammatica. Come mostrano gli appena quattro seminaristi per tutte le cinque diocesi della Granda e le sole quattro presenze in propedeutica per quasi tutto il Piemonte centro-meridionale, diocesi di Torino inclusa. È del tutto utopistico pensare che nei prossimi anni (se non decenni) si inverta improvvisamente e miracolosamente la tendenza. A meno di non importare schiere di preti da altre parti del mondo, si sta per entrare in un’acuta fase di “anoressia sacerdotale”.
Ricostruire un tessuto di fede per le nuove generazioni
Non so se le nostre diocesi, e in esse soprattutto i vescovi e i presbitèri, si fermino ogni tanto a considerare con sufficiente attenzione tale prospettiva. Non mi sembra. Eppure, sarebbe necessario farlo per non venire colti impreparati. Innanzitutto, occorre sempre più pensare ad una Chiesa con pochissimi e rarefatti sacerdoti, oltretutto in età avanzata, ed attivarsi per organizzarla. In seconda battuta occorre riflettere in profondità e senza discorsi scontati sul perché di questa accelerazione della crisi vocazionale, che tocca anche territori, penso alla diocesi di Alba o di Cuneo che fino a pochi anni fa erano ancora feconde di vocazioni al sacerdozio, e lavorare per un suo futuro (lontano) superamento.
Da un lato occorre rendersi conto che manca la materia prima, perché la condizione che caratterizza i nostri giovani è quella che io definirei di “ateismo pratico”. Ne consegue che, da questo punto di vista, occorre impegnarsi in un’impresa difficilissima: ricostruire un tessuto di fede per le nuove generazioni, e non solo. Nell’attuale situazione ogni “pastorale vocazionale” appare puramente velleitaria.
A proposito del celibato sacerdotale: interroghiamo la storia
Dopodiché occorre interrogarsi con maggior serietà sulla figura del sacerdote-presbitero che si può proporre oggi e in futuro. Se si è ancora al livello del cardinal Sarah, il quale afferma esserci una “connessione ontologica fra celibato e sacerdozio”, vuol dire che siamo proprio mal messi! Se fosse vera la sua affermazione dovremmo trarne un’inevitabile e singolare conseguenza: i sacerdoti cattolici di rito orientale o quelli che sono passati alla Chiesa cattolica da quella anglicana, e che sono sposati!, sarebbero dei “non preti”. La loro ordinazione sarebbe invalida mancando il legame ontologico. Non so come un cardinale, oltretutto prefetto di un ufficio della Curia romana, possa affermare cose del genere. Sul celibato sacerdotale bisognerebbe approfondire un po’ di più la storia della Chiesa, che in proposito offre molte sorprese. Presento solo un piccolo saggio su di esse: Gregorio Nazianzeno, (330-389) patriarca di Costantinopoli, era figlio di un vescovo; Patrizio (ca. 372-483), l’apostolo dell’Irlanda, era figlio di un diacono britannico e suo nonno era presbitero, cioè prete; da molte iscrizioni tombali di presbiteri e di vescovi dei primi seicento anni di storia della Chiesa risulta che molti erano sposati con figli; papa Ormisda (514-523) fu ordinato diacono quando era sposato e aveva un figlio, il quale poi è diventato papa Silverio (536-537). Si noti che quando una cosa è accaduta una o più volte nella storia può ancora tranquillamente accadere.
Non mi interessa però presentarmi come un fan del clero uxorato (sposato) e ribadisco che questo non è l’unico problema che caratterizza oggi la figura del prete, seppur appaia importante. Piuttosto mi interessa evidenziare con forza la necessità di interrogare la storia del ministero ordinato, per scoprire che le cose non sono sempre state come le abbiamo ereditate noi, che il profilo del prete a cui siamo abituati è piuttosto recente - dopo il Concilio di Trento (1545-1563) ma per molti aspetti solo dall’Ottocento in avanti - per cui molto di tale profilo si può ripensare e rendere più realistico per l’oggi.
Si tratta di un lavoro complesso, lungo, non facile, ma che mi pare necessario nella lunga “traversata nel deserto” che dobbiamo comunque necessariamente prepararci a compiere, da adesso e per molti anni. Per rendere un po’ più “appetibile” non solo una vocazione, ma qualcosa di diverso: un indispensabile ministero nella vita della Chiesa. Come fu il ministero di Ambrogio di Milano, eletto Vescovo a furor di popolo, senza aver mai pensato a una prospettiva del genere! Aveva forse, il laico Ambrogio, non ancora battezzato, la vocazione?
Giampaolo Laugero, diocesi di Mondovì, parroco e docente di Storia della Chiesa allo Sti-Issr di Fossano