600 candeline per il beato Bartolomeo (1ª parte)

il beato Bartolomeo da Cervere

È davvero singolare che il legame con la nostra diocesi si riduca semplicemente al nome, “De Cerveriis”, che rimanda ad un casato che aveva diritti feudali, tra l’altro, sul paese di Cervere, acquistati verso la metà del 1200 e persi circa un secolo dopo per un rovescio di fortuna. Ancor più singolare il fatto che, pur non avendovi mai messo piede, proprio a Cervere venga a morire e qui poi ritornino le sue reliquie per definitivamente restarvi. Parliamo ovviamente di Bartolomeo, il beato di Cervere, rifacendoci alla monografia “I tempi e la vita del beato Bartolomeo De Cerveriis”, curata nel 1953, primo centenario della beatificazione, dal sacerdote fossanese don Felice Dompè “in forma letterariamente dignitosa e perspicua” secondo la definizione del vescovo. Lo si fa nascere a Savigliano (dove, ancora pochi decenni fa, si indicava il palazzo omonimo in cui avrebbe visto la luce), in un anno imprecisato che con buona approssimazione si può collocare intorno al 1420. Se confermata tale data, quest’anno ricorrerebbe dunque il sesto centenario della nascita. Terminati con successo i corsi di studi che la sua città è in grado di offrirgli e proprio nel momento in cui dovrebbe decidere per il proprio futuro, ha l’opportunità di iscriversi l’università, che da novembre 1434 apre i battenti a Savigliano. Inizia così la frequenza dei corsi di Filosofia, Teologia e Diritto Canonico, che però un paio d’anni dopo sono trasferiti a Torino. Arrivato al bivio di interrompere gli studi o di trasferirsi fuori Savigliano, Bartolomeo sceglie di entrare nel convento domenicano saviglianese, per maturare una vocazione e assecondare un’inclinazione per niente nuove, alle quali lo spostamento dell’università ha soltanto impresso un’accelerazione.

A Torino dovrà comunque in seguito trasferirsi, precisamente all’indomani dell’ordinazione avvenuta nel 1445, per proseguire gli studi all’università, perché si vede che ai superiori non sono sfuggite la sua propensione per gli studi e la sua non comune capacità di apprendimento, che l’8 maggio 1452 gli consentono di conseguire contemporaneamente (dicono trattarsi di un caso unico negli annali dell’Università) la licenza, il dottorato e l’assunzione a docente universitario. Inizia nel settembre successivo, e prosegue per tutto l’anno accademico, come prescrivono gli statuti universitari per ogni nuovo professore aggregato, l’insegnamento in Facoltà, ma già verso la metà del 1453 l’ubbidienza gli cambia le carte in tavola, facendolo rientrare precipitosamente a Savigliano, dove i padri del suo convento, riuniti in capitolo, lo hanno eletto priore. Nel biennio del suo priorato, oltre a riorganizzare il convento, risanando la moralità e la spiritualità dei confratelli, si dedica con passione anche alla ristrutturazione e sistemazione delle case che il convento possiede fuori Savigliano (ad esempio, a Peveragno, Racconigi e Sommariva Bosco) e che sono utilizzabili come ‘piedaterre’durante le predicazioni in quelle zone. Oltre a tutto ciò, il nostro don Dompè riesce a trovare negli archivi domenicani tracce più che eloquenti dell’intenso ministero di padre Bartolomeo “l’amministrazione del convento, l’assistenza ai membri del Terz’Ordine e della Compagnia del Rosario, la direzione spirituale delle Suore di Santa Caterina, l’amministrazione e la direzione spirituale delle Suore Domenicane del convento di Revello, la scuola di Teologia per i sacerdoti secolari della città e delle parrocchie vicine; in più egli coltivava sempre i diletti studi e attendeva al ministero sacerdotale delle confessioni e della predicazione”.

A Pentecoste del 1455 scade il biennio del suo priorato e per due anni gli archivi tacciono sulla nuova destinazione e sull’attività del padre Bartolomeo: bisogna attendere la Pentecoste del 1457, per assistere ad una nuova elezione di quest’ultimo a priore del convento saviglianese, il che fa presumere che i confratelli non siano stati per nulla insoddisfatti di come aveva svolto il primo mandato. Questa volta lo attende un biennio particolarmente faticoso, contrassegnato anche da beghe giudiziarie con una delle parrocchie di Savigliano, perché “il diavolo entra sempre nelle tasche”, per dirla con papa Francesco, e già allora si litigava per i soldi. Il padre Bartolomeo, pur senza fare miracoli e non potendo quindi scansare arbitrati e questioni legali, riesce tuttavia a far trionfare la giustizia ed a contenere il danno d’immagine che potrebbe derivare alla religione. Contemporaneamente riesce ad ampliare e restaurare la “chiesa di San Domenico” annessa al convento di Savigliano, investendo in questa opera tutto il patrimonio personale che gli deriva dall’eredità paterna.

(1-continua)