600 candeline per il beato Bartolomeo (3ª parte)

Chiesa parrocchiale di Cervere: urna delle reliquie del beato Bartolomeo
Chiesa parrocchiale di Cervere: urna delle reliquie del beato Bartolomeo

Tralasciamo, come sempre fatto finora, di parlare dei fatti “prodigiosi” che si registrano alla morte del martire e su cui invece 60 anni fa indulgeva il nostro don Dompè. Ci interessa piuttosto accennare alle varie vicende legate al suo culto e alla traslazione delle sue reliquie, a testimonianza di un affetto nei suoi confronti che non è mai venuto meno. Morto del tutto casualmente nel paese di cui porta il nome ma in cui non ha mai prima messo piede, per la sepoltura del padre Bartolomeo si incomincia a litigare dal giorno successivo alla morte, quando cioè da Savigliano arrivano i confratelli a prelevarne la salma, convinti come sono di poterla tumulare subito nella chiesa del convento, dove tra l’altro già sono custodite le reliquie di altri due inquisitori martiri, Pietro Cambiani e Antonio Pavoni. Peccato che i cerveresi su questa soluzione non si trovino d’accordo e si vogliano tenere il martire (difficile dire se per autentica devozione o per una più banale questione di prestigio) e così i Domenicani devono tornare a Savigliano a mani vuote, dando inizio ad una “querelle”che si trascina per mesi e che alla fine sarà vinta dai Padri il successivo 18 agosto, quando Bartolomeo può trovar finalmente riposo a Savigliano. Qui gli fanno posto in coro, dove lo attendono i predecessori che hanno fatto la sua stessa fine e dove è subito venerato dai saviglianesi come un autentico testimone della fede, anche se manca un pronunciamento della Chiesa al riguardo.

La devozione dei cerveresi, invece, si concentra su una modesta cappella, costruita sul luogo del martirio come ringraziamento, sembra, per la sua evidente protezione in occasione della pestilenza del 1484 e della carestia del 1493/1494. Si tratta di una vera e propria “cappella del popolo”, perché ognuno si è sentito in dovere di contribuire alla sua costruzione o con un obolo, o con l’offerta di materiale se non con la propria manodopera.  Intanto la devozione, seguendo gli spostamenti dei Domenicani, si estende ben oltre il cuneese, raggiungendo Roma, Napoli, Bologna, Milano, Parigi, Amiens, Colonia e Bruxelles. Non c’è pace invece per i suoi poveri resti, che corrono il maggior rischio nel 1799, quando la chiesa in cui sono custoditi è occupata dall’esercito austro-russo, in guerra contro la Francia. Non appena, con la partenza dei militari, tornano nella disponibilità dell’edificio, i Domenicani si preoccupano subito di metterli al sicuro, nascondendoli in una stanzetta attigua alla chiesa, ma poco dopo devono già cercare un’altra sistemazione, perché nel 1802 tutte le congregazioni religiose devono sciogliersi e lasciar liberi i loro conventi.

Cervere non può lasciarsi sfuggire l’occasione di riavere il suo “beato” e, tramite il barone Gastaldi, suo ricco possidente, avanza regolare richiesta delle reliquie, che questa volta i Domenicani sono ben lieti di cedere. È lo stesso priore di Savigliano a portarle il 13 ottobre 1802 e subito vengono collocate sotto l’altare maggiore, dal quale però devono sloggiare nel 1823 sotto il Vescovo Franzoni, che interpretando alla lettera le disposizioni vaticane sul culto dei santi, le considera come quelle di un defunto qualunque, che in quanto tali, non possono stare sotto un altare su cui si celebra la messa. In punto di diritto, ovviamente, ha ragione il vescovo, perché la Chiesa ancora non si è pronunciata sul martirio e tantomeno ha convalidato il culto di Bartolomeo, che finisce così in una cassapanca della sacrestia, in attesa di tempi migliori. Che arrivano nel 1853, quando Pio IX procede alla beatificazione equipollente, riconoscendogli cioè un culto spontaneo esistente praticamente dal giorno della morte e mai venuto meno. Per i cerveresi cambia davvero poco, eccezion fatta per l’intima soddisfazione di sapere che il “loro” martire è tale anche per la Chiesa. Essi, infatti, molto prima del papa, anzi da ben quattro secoli, son convinti che Bartolomeo è beato, senza se e senza ma, e ne hanno difeso il possesso anche con forconi e tridenti, come ben ricorda il padre Ghilardi (futuro grande vescovo di Mondovì), che arrivato a Cervere nel 1837, con la segreta speranza di recuperare le reliquie, se ne dovette ripartire, non solo a mani vuote, ma addirittura sotto strettissima scorta, controllato a vista in ogni suo movimento da minacciosi contadini locali, armati dei loro strumenti di lavoro. Se il ricordo del beato è rinnovato ogni anno nell’anniversario del martirio, con particolare solennità è stato circondato nel 1953 (primo centenario della beatificazione), nel 1966 e nel 2016, rispettivamente a 500 e a 550 anni dalla morte. Anche alla “terra dei porri” infatti, passateci la banalità, fa comodo avere un protettore in paradiso, dove ha portato, oltre al nome del suo casato, anche quello del paese in cui è stato martirizzato. Ed è grazie a lui se anche gli angeli, ora, quel nome lo hanno imparato a memoria.

(3 - fine)