di Chris Sanders; con Harrison Ford, Omar Sy, Dan Stevens, Karen Gillan, Bradley Whitford, Colin Woodell.
California, fine XIX secolo, Buck è il grosso, amato e viziato cane del giudice Miller. Una casa grande in cui si sente a suo agio, un padrone che lo adora, cibo e coccole a volontà. Ma là al nord, nella lontana Alaska è partita la corsa all’oro e c’è grande richiesta di cani da slitta. Una notte Buck viene rapito per essere venduto come cane da traino per i cercatori d’oro del Klondike, e la sua vita cambierà per sempre. Capolavoro della letteratura per ragazzi più volte trasposto sul grande schermo (questo è il quarto adattamento, il più celebre dei quali è forse quello del 1935 di William Wellman con Clark Gable), “Il richiamo della foresta” è l’epico racconto di un cane e del suo ritorno alla natura selvaggia (non a caso il titolo originale del romanzo di Jack London è “The Call of the Wild”), del suo lento ma progressivo affrancamento dalla civiltà per ritrovare un nuovo e definitivo contatto con la Natura. Se Gustave Flaubert regalava molto di sé a Madame Bovary, altrettanto di può di dire di Jack London che tuttavia traspone il suo desiderio di libertà e di ritorno alla Natura più nel cane che in John Thornton (Harrison Ford), l’uomo con il quale Buck intesserà il rapporto più profondo e intenso. È il cane il vero specchio di London, è attraverso di lui che egli recita il proprio canto d’amore anarchico e libertario per la frontiera, per una vita selvaggia lontana dalle ipocrisie e dai vincoli della società moderna. Ora, paradossalmente, è proprio quest’aspetto ciò che più manca al film di Chris Sanders, che ci regala un Buck rielaborato in CGI e dunque incredibilmente espressivo, scenari naturali mozzafiato e corse in slitta decisamente avvincenti, ma che fa mancare alla storia quella selvaggia brutalità che London aveva dato al romanzo, nel film di Sanders c’è un clima da salotto, ciò che manca davvero è la foresta.