Come affrontare l’epidemia, senza lasciarsi intrappolare dall’angoscia e dall’ansia?

Intervista alla psicologa e psicoterapeuta Michela Donapai. Attuare in modo razionale i comportamenti che ci vengono prescritti, senza però dimenticarci di vivere “qui e ora”

Michela Donapai, psicoterapeuta di Savigliano
Michela Donapai, psicoterapeuta di Savigliano

Viviamo un momento difficile che investe tanti aspetti della vita quotidiana, pone limiti alle nostre relazioni, ci chiede scelte di responsabilità per proteggere noi e di conseguenza gli altri… Una situazione che inevitabilmente genera ansia, inquietudine, disorientamento: come affrontarla? Come evitare di cadere in sterili allarmismi e lamentazioni o, al contrario, cedere al fatalismo, alla rassegnazione?
Ne abbiamo parlato con Michela Donapai, psicologa e psicoterapeuta saviglianese (con uno studio dove riceve i pazienti anche a Fossano), consulente tecnico del Tribunale di Cuneo.

In questi giorni le nostre vite sono dominate dalla paura, un sentimento ambivalente, che può bloccarci ma può anche salvarci… come gestirla?
Innanzitutto, vorrei fare una distinzione. La paura è riferibile a qualcosa di tangibile, definibile, concreto. Ed è un atteggiamento umano importantissimo perché fa scattare dentro di noi dei meccanismi di difesa. Ma in questo periodo ciò che caratterizza le nostre vite è soprattutto l’angoscia: cioè qualcosa di indefinito, non identificabile, qualcosa di atavico che fa emergere i nostri fantasmi interiori. Quello che stiamo vivendo è inimmaginabile, a me richiama la peste manzoniana.

È una situazione quasi surreale.
Sì. Un conto sono le calamità come i terremoti e le alluvioni che vediamo e tocchiamo con mano, un altro è il virus perché è un nemico invisibile. Non sappiamo contro cosa combattere.
Nel caso del terrorismo, che abbiamo vissuto anche recentemente, si prova paura nei confronti di un individuo, di una persona, un “oggetto” esterno. Nel caso del virus la paura è invece rivolta verso noi stessi, verso le nostre angosce più profonde che generano comportamenti incontrollabili. Mi riferisco, ad esempio, alla smania di trovare risposte ovunque che si concretizza in una ricerca spasmodica sui “social”, dove ovviamente c’è di tutto e di più. Non trovando risposte subentra un senso di frustrazione che contribuisce ad alimentare pericolosi fantasmi interiori, perché più indirizzati verso noi stessi che verso qualcosa di esterno.

Tuttavia, la ricerca di una risposta razionale e il desiderio di capire sono atteggiamenti profondamente umani.
Certo, sono meccanismi di difesa. Però un conto è la paura che porta ad informarsi e a mettere in pratica quei comportamenti corretti che giustamente bisogna attuare, un conto è lasciarsi andare ad un’angoscia atavica, primitiva che spinge a identificare l’altro come un pericolo, come l’untore. Il rischio è la diffusione di comportamenti che ci facciano perdere il controllo sul piano sociale.

A questo proposito, quali sono gli atteggiamenti da evitare e quali da promuovere e attuare?
L’atteggiamento prioritario è concentrarsi sul “qui e ora”. Cioè mettere in campo in modo razionale i comportamenti (di protezione, volti a contenere la diffusione del virus) che ci vengono prescritti, senza però dimenticarci di vivere. Il che significa affrontare la nostra quotidianità come facciamo tutti i giorni, dare spazio ai pensieri positivi, non lasciarsi invadere dalla frustrazione del “non sapere” (fino a quanto durerà questa situazione di emergenza? Fino a quando prolungheranno le misure straordinarie di protezione?...) che genera ansia, evitare gli opposti atteggiamenti dell’allarmismo eccessivo e del menefreghismo (...tanto io non verrò colpito dal virus). Non coltivare i pensieri negativi del “non devo”, ma pensare “oggi posso fare questo”.

Tra gli atteggiamenti negativi inserirei anche il fatalismo, il disfattismo, la lamentazione sterile...
Esatto. Perché sono come un fumo, una nebbia che ci impedisce di vedere ciò che accade e di vivere. Al contrario, vedo una reazione positiva soprattutto nei giovani che si trovano a vivere per la prima volta una situazione del genere. Anche per noi adulti è una situazione inedita, ma almeno noi attraverso il racconto dei genitori abbiamo il ricordo di un tempo drammatico come la guerra. Mi pare che in questa situazione i giovani siano attenti a quanto accade, ma non smettano di vivere.

Le famiglie, in particolare quelle con figli piccoli, a causa della prolungata chiusura delle scuole in questi giorni devono riorganizzare la propria giornata, passano molto più tempo insieme, vivono tensioni... Ci dà qualche indicazione per affrontare questa situazione?
Innanzitutto, là dov’è possibile occorre provvedere ai nostri figli con le risorse familiari e amicali che abbiamo, disponibili a ricevere ma anche a restituire. La condivisione è importante: in questa situazione, far comprendere ai propri figli che l’altro non è un nemico, un “untore”, ma che si può collaborare per far fronte alle difficoltà è fondamentale. Quello che può salvarci in questo momento è la capacità di fare rete, la solidarietà. Poi dobbiamo concedere ai nostri figli (e anche a noi) la bellezza di riscoprire cose semplici: vedere un bel film insieme, coinvolgerli nella gestione della casa... Infine, dovremo anche riscoprire un aspetto che sembra scomparso dalle vite dei nostri figli: la noia. Siamo così preoccupati che i nostri figli si annoino, che cerchiamo di organizzare e riempire il loro tempo con mille impegni, per essere produttivi a tutti i costi.

Gli studenti delle Superiori (in particolare quelli degli ultimi anni) che sono a casa da scuola hanno la possibilità di vivere questo tempo come una “prova” verso l’Università, un tirocinio per imparare a organizzarsi, a gestirsi in modo indipendente, facendo gruppo tra di loro.
Torno al discorso dei più piccoli: come spiegare loro cos’è questo virus senza suscitare allarmismo?

Ai più piccoli si può dire che il Coronavirus è come un’influenza, che però si può aggravare tanto da richiedere misure restrittive: lo possono comprendere benissimo perché loro stessi hanno fatto l’esperienza di avere febbre, raffreddore, mal di gola... Un genitore deve saper filtrare le informazioni di cui siamo bombardati in questi giorni con un linguaggio adatto ai bambini. Cosa che andrebbe fatta anche per altre domande che ci fanno i bambini, come ad esempio quelle relative alla sessualità.

Pensa che questa situazione drammatica che stiamo vivendo possa essere un’occasione per crescere a livello personale e come comunità?
Sì, altrimenti non sarei una psicologa ma neppure un essere umano. Tutti gli accadimenti brutti e pesanti della vita possono generare delle opportunità. Nel senso che possono farci vedere degli aspetti che fino a ieri non erano concepibili.
Lo dico con parole ispirate al pensiero di Aldo Carotenuto, uno psicoanalista a me molto caro: ogni evento, dal più insignificante al più grave e serio, può diventare un incentivo a comprendere cosa esso abbia rappresentato per la nostra esistenza, in che modo vi si inerisca, come ne orienti la direzione... per germogliare in un presente e futuro più coeso e più consapevole... conducendoci in nuovi significati, pieni di fiducia.