La corsa di “trottolino” sulla strada della santità (2ª parte)

Sturpino Suor Imelda
suor Imelda Sturpino

“Tutti cercano la pubblicità e vogliono apparire”, dicono i coreani, “non capisco come questa suora, invece faccia di tutto per passare inosservata”.“Ciò che mi indotto a contattare Imelda”,commenta il giornalista, “non è il premio che le è stato assegnato, ma i 18 anni vissuti in silenzio tra i malati di lebbra”. E cosa direbbe allora se a questi 18 anni ne aggiungiamo altri, per un totale di quasi 30, vissuti tutti con il medesimo stile e con il medesimo amore? Terminati i quali, lasciando di sicuro un pezzo di cuorea Ko-Chang, suor Imelda Sturpino rientra in Casa Madre per una nuova “ubbidienza”: partire il 14 novembre 1992 per l’Albania, destinazione Gostime, villaggio quasi interamente musulmano, per aprire una piccola fraternità all’interno di un vecchio lebbrosario. Padre Gasparino commenta: “Nella comunità ci sono sorelle e fratelli generosi, ma a cui qualche volta non si può chiedere tutto, e qualche volta ciò che si chiede deve essere chiesto coi guanti. Per Imelda non è mai stato così: si poteva chiedere tutto, e anche senza guanti. Avrei potuto mandarla al Polo Nord e lei sarebbe partita senza batter ciglio. Voi capite che quando una sorella è così, nel servizio dei poveri e nella comunità, siamo al livello della santità autentica”.

Ed è così che Imelda sbarca in Albania, alle prese con una nuova lingua da imparare mentre ormai si avvicina ai 60 anni. È Padre Gasparino a testimoniare che “il chiodo dello studio della lingua era ben piantato in lei; senza la conoscenza della lingua l’annuncio era bloccato; non riuscire a parlare albanese segnava il passo alla Parola di Dio che non poteva arrivare ai poveri. Il problema dell’inculturazione era vivissimo in lei, ne parlava continuamente”.Tutta la sua fatica nell’impadronirsi della nuova lingua è racchiusa nei suoi propositi di “usare l’albanese per tutto quello che posso: scrivere in albanese le cose che posso, come appunti, ecc… dire il rosario anche in albanese, al mattino fare la consacrazione alla Madonna in albanese. Leggere libri e articoli. Preparare bene le lezioni. Continuare a riflettere bene sul problema ed escogitare tanti mezzi”

 Nella nuova missione che la attende, come sempre, il Vangelo è però principalmente da incarnare nei gesti semplici e quotidiani, per i quali la parola è superflua e ci si affida alla testimonianza. Lei, diventata espertissima nel curare scottature e piaghe di ogni genere, insieme alla ferita ha imparato anche ad accarezzare l’anima e questo i malati di ogni fede lo percepiscono nettamente. Sarà per questo, racconta don Gasparino, che durante una sua visita a Ko-Chang, anni e anni dopo la partenza di suor Imelda, “venne da me una delegazione di lebbrosi… a presentarmi una solenne petizione: di poter vedere ancora una volta Imelda; i lebbrosi si autotassavano per pagarle il viaggio dall’Albania”, perché hanno capito perfettamente chi ha voluto loro bene davvero. Ed è solo per amore verso la nuova comunità in cui è chiamata a servire, che finalmente riesce a capire e ad esprimersi nella nuova lingua, aprendosi così a frontiere pastorali che prima le erano precluse: la scuola di Bibbia da guidare a Cherik, innanzitutto, ma anche incontri di catechesi, serate di riflessioni e di preghiera, gruppi di commento e di riflessioni sul Vangelo, addirittura piccole scuole di alfabetizzazione, utilizzando la Bibbia come libro di testo, per insegnare a gruppi di adulti a leggere e scrivere. Impegni, ovviamente, che si aggiungono al suo lavoro più specifico, che resta sempre la cura e la medicazione dei malati nell’ambulatorio, dove, “anche se il posto è costantemente affollato, il lavoro è diventato più leggero”. Un fatto, questo, che Imelda interpreta come “un dono del Signore per dare più attenzione alla persona dell’ammalato, comunicare a lui un po’ di gioia di Dio, qualcosa di Dio da portare con sé”. Sempre attentissima, come le ha insegnato il Padre, a “vivere il momento presente per scoprire la profondità delle parole o dell’evento che sto vivendo…per fare bene il mio dovere… per fare subito, senza rimandare, ciò che costa”, è ben cosciente che il suo essere “trottolino” può vanificare i suoi sforzi e trasformarsi nella classica buccia di banana della sua vita spirituale. È per questo che chiede in continuazione “la grazia di vivere il momento presente”, rendendosicontoche“questo mi sta dando la possibilità di essere presente a Dio, di invocarlo, di fare meglio il mio dovere, di dare modo allo Spirito Santo di correggere i miei disordini. E ci guadagno anche nella memoria e nella sveltezza nei lavori”.

(2-continua)