“Nessuno ci credeva. Abbiamo un ritardo di 15 giorni rispetto all’Italia”

La testimonianza di Fabio Ballari, residente a Parigi, ora a Namur in Belgio

Ballari Fabio
Abita a Parigi dal 2006, ma da qualche giorno si è spostato in Belgio, nella zona di Namur, nel paese di nascita della suocera, con la moglie e il figlio. Fabio Ballari, ingegnere meccanico, fossanese di origine, ci racconta il coronavirus un migliaio di chilometri più a nord: la stessa orribile bestia, “ma con 7-10 giorni di «jet lag» dall’Italia”.
Ora è in una casa di campagna, lontano dalla «Ville lumiére», di certo uno dei posti meno indicati per l’isolamento. "Ce ne siamo andati subito dopo il secondo discorso in tv di Macron - spiega -, appena prima che venissero introdotte misure di confinamento più stringenti". "Prima - continua - la gente qui non realizzava la gravità della situazione. A Parigi c’era appena stata la «Fashion week», c’erano (come sempre) un miliardo di eventi mondani ogni sera, nessuno si preoccupava delle distanze sociali. Nonostante le voci in arrivo dal nostro Paese".
Fabio, nella percezione del problema, è stato "favorito" dall’essere italiano. "Ero stato a Fossano dal 18 al 22 febbraio a far visita ai miei genitori, e al ritorno la mia ditta (la Dassault Systemes) mi ha messo in quarantena, facendomi lavorare da casa, perché proveniente da uno Stato «a rischio». I miei colleghi ci scherzavano su. Io ho cominciato a prendere la cosa sul serio. Leggevo i messaggi poco rassicuranti dei miei amici italiani. E quando sono tornato al lavoro in sede ho cominciato - io soltanto - a disertare la mensa aziendale".
Il resto è storia recente. La Francia, pur con qualche tentennamento, ha iniziato a seguire la strada dell’Italia. Ma il numero dei contagi cresce in modo preoccupante (a Parigi più che altrove), complice anche la sottovalutazione dei giorni e delle settimane precedenti, "con il sole di primavera e tanta gente a passeggiare o a correre nei parchi".  
Dalla campagna di Namur, isolato nella quiete familiare, Ballari precisa di non avere il polso esatto di quel che accade in Belgio. "Ma ho l'impressione - dice - che qui il «ritardo» sia di almeno 48 ore rispetto alla Francia". Continua a lavorare come se fosse in azienda ("anche meglio - dice -. Non perdo tempo negli spostamenti e riesco a fare ogni cosa con più calma e concentrazione") e aspetta, come tutti, che passi la bufera "con un pensiero a chi sta soffrendo per questa situazione".