A Maria Verra, cui la salute ha precluso la possibilità di farsi suora, il Servo di Dio don Stefano Gerbaudo spalanca invece le porte delle sue “Cenacoline”, alla cui costituzione lavora febbrilmente proprio negli anni bui e dolorosi della guerra. Figura addirittura tra le prime nove ammesse alla consacrazione (nell’ora antelucana che tanto piace a don Gerbaudo, da sempre convinto che le ore notturne e mattutine sono foriere di radicali decisioni) del 1° giugno 1944. Questo dice la considerazione in cui Maria è tenuta e, anche, un implicito riconoscimento del cammino, fino ad allora da lei compiuto, insieme a sua sorella, nel “curare la santificazione propria ed altrui attraverso una più diretta collaborazione con il sacerdote”, che esse già hanno vissuto nella loro casa di Villafalletto e che, guarda caso, diventa anche lo spirito e la finalità della neonata “Pia Unione”. Anche Clementina diventerà “Cenacolina”, ma solo alcuni anni dopo, cioè poco prima che la parabola di vita del padre-fondatore entri nella sua fase discendente. Tutto lascia comunque intendere, soprattutto alla luce dell’epilogo, che il cammino di quest’ultima si sia frequentemente intersecato con don Gerbaudo mediante una illuminata direzione spirituale, che la prepara all’ammissione nel 1949.
Pur vivendone già da sempre lo spirito, la consacrazione tra le Cenacoline mette le ali alla spiritualità delle due sorelle, sostenendole per affrontare, ancora insieme, l’erta salita del calvario. Nel 1960, infatti, a Clementina viene diagnosticato un cancro al seno che comincia la sua opera demolitrice, con metastasi che ben presto si estendono a livello polmonare. Tutta la famiglia, com’è facilmente intuibile, è coinvolta, materialmente ed emotivamente, nelle varie fasi della malattia, nulla risparmiando in visite, ricoveri e terapie, anche a prezzo di sacrifici immensi che dissanguano letteralmente l’economia familiare, basata per lo più sui proventi dei lavori di sartoria, ai quali ora Clementina non può più dedicarsi come un tempo. Per la serie “piove sempre sul bagnato”, in quegli stessi anni, poi, anche la salute di papà Verra inizia inesorabilmente a declinare, fino alla morte che sopraggiungerà sul finire del 1964. In due stanze contigue la malattia avanza per entrambi, riservando a Maria ed alla mamma il compito di alternarsi da un letto all’altro, nello sforzo di non palesare a lui le reali condizioni di salute della figlia, per non aggiungere dolore a dolore. La sartoria, imperniata sull’estro e sulla creatività di Clementina, risente enormemente la sua mancanza, cui Maria può supplire soltanto in parte, dal momento che i lavori casalinghi sono sempre stati la sua occupazione principale.
Malgrado ciò la loro porta di casa resta aperta da mattina a sera: non solo per consentire l’accesso alle poche clienti rimaste, ma soprattutto perché Clementina possa continuare a ricevere visite. Sono tante, infatti, a sentire il bisogno di sostare accanto al suo letto. “Da lei non si andava a portare conforto, ma a ricevere sostegno e incoraggiamento”, dicono ancora adesso a Villafalletto. “Non l’hanno mai lasciata sola; c’erano presenze fisse, pensiamo di Cenacoline della prima ora, che venivano a farle compagnia e a prestarle piccoli servizi, ma soprattutto notavamo una processione continua di amiche e conoscenti, tra cui era facile individuare quelle che erano state le sue Giovanissime e le sue Aspiranti”. Le testimonianze sono concordi: “Attorno al suo letto si respirava serenità e pace, per questo si faceva la fila per sentire un suo consiglio, per chiedere una sua preghiera, per ricevere una sua raccomandazione o un invito al bene”. L’origine di questa pace è rivelata da una delle poche espressioni che di lei si conservano, carpita da alcune visitatrici in un momento di confidenza: “È pericoloso offrirsi a Dio, perché poi Lui ti prende tutto, tutto. Ma quando si è dato tutto allora ci si sente immensamente felici”. Può suonare strana, in una giovane donna che il cancro sta consumando e rodendo, questa sensazione di “immensa felicità”; addirittura può sembrare incomprensibile per chi soltanto nella salute e nel ben essere vede la realizzazione della propria vita, tanto da anteporle a qualsivoglia altra sua aspirazione. Se ne può, invece, intuire tutta la valenza solo dando credito a quanto rivelato dal suo confessore: “Nel fiore dei suoi anni si era offerta vittima a Dio per la santificazione della gioventù e del clero”. “Chi ama la sua vita la perde”: è di duemila anni prima la parola di Chi, di se stesso, tutto ha offerto e nel corso dei millenni non sono mancati gli imitatori di questa donazione totale: fatta esclusivamente per un più grande Amore.
(2-continua)