Le due sorelle di Villafalletto (3ª parte)

Verra Clementina

Arriva, per Clementina Verra, il momento di mettersi a letto per non rialzarsi più. “Dal primo gennaio 1965 a domenica 16 maggio, l’ultimo giorno trascorso quaggiù”, annota il suo parroco don Giovanni Canale, “le portai ogni mattina la Comunione: era il momento tanto sospirato, il momento del rifornimento di fortezza, di fede, di rassegnazione alla Volontà divina”. Il suo è un lento ed inesorabile consumarsi, un progressivo e definitivo distaccarsi da tutto e da tutti, che don Canale riassume così: “Operazioni chirurgiche penose e dolorose, cinque anni di cure sotto l’incubo di un interrogativo angoscioso: guarirò ancora? il distacco dalla professione e dal lavoro necessario alla famiglia, poi la morte del papà; poi l’addio alla chiesa tanto amata, la perdita della voce, oltre quattro mesi inchiodata nel letto, poi l’olocausto supremo”. In questo addio prolungato e cosciente c’è anche spazio per qualche espressione, non di rimpianto, ma di amore per la vita che sembra sfuggire di giorno in giorno, raccolta da un’amica che la sta vegliando: “Mi piacerebbe tanto vivere ancora un po’, ma se il Signore vuole prendermi, per me va proprio bene”. A mano a mano che si avvicina, la morte le appare sempre più come il festoso incontro con l’Amato, come il tanto sospirato giorno delle nozze eterne. Per questo chiede alla sorella Maria e alle amiche di confezionare per lei l’abito “da sposa”, il vestito bianco che dovranno farle indossare nella bara. Per questo chiede alla mamma, anche per prepararla all’ormai prossimo addio, di recitare insieme a lei, accanto al suo letto, le preghiere dei morenti, tanto da far dire a don Canale: “Nella mia vita di sacerdote e parroco ho assistito centinaia di ammalati nel passo supremo della morte, ricevendo esempi mirabili di fede e di vita santa: ma ne ho trovati pochi così ben preparati alla morte come Clementina”.

In quel mese di maggio di 55 anni fa la diocesi si sta preparando a vivere il Congresso Eucaristico, per la cui conclusione è stata organizzata una grandiosa celebrazione all’aperto per domenica 16 maggio. È naturale per don Canale invitare Clementina ad offrire le sofferenze di quelle sue ultime ore per il Vescovo e per il Congresso, perché porti frutto nella comunità diocesana e dal sorriso con cui l’ammalata accoglie l’invito si capisce perfettamente che da tempo sta offrendo e soffrendo per questo scopo. D’altronde, la salvezza delle anime è sempre stata il suo chiodo fisso, che tante volte l’ha portata ad esclamare: “Vorrei che ogni istante di sofferenza fosse una goccia di salvezza per il mondo”. Ha il tempo di rinnovare solennemente e perpetuamente la sua consacrazione al Signore, al termine della quale ammette dolcemente: “Sono proprio felice, aspetto solo che il Signore venga a prendermi per riposarmi un po’, ma penso che non avrò tempo a riposarmi, ho da pregare per tanti”. Mentre i suoi 41 anni di vita le scorrono davanti come in flashback, esclama con serenità: “Oh, si sapesse come qui, sul letto di morte, contano niente tutte le cose del mondo!”. Morire in piena coscienza è sempre stato il suo desiderio e la sua preghiera, che adesso si fa caloroso invito a chi veglia la sua agonia: “Oh, non lasciatemi addormentare, voglio morire perfettamente cosciente”. La cosa non sfugge a don Canale, che enumera le tre note dominanti della via crucis di Clementina: “Una serenità sorprendente davanti alla morte unita ad una semplicità evangelica, un distacco totale da tutto e da tutti, una certezza consolante del Paradiso”.

La fine arriva domenica 16 maggio, proprio nell’ultimo giorno del Congresso Eucaristico per il quale Clementina ha così tanto sofferto e pregato, poco prima che per le strade di Fossano si snodino i tre distinti cortei che devono confluire in piazza Vittorio Veneto, attorno al palco su cui verrà celebrata la messa. Deve sbrigarsi, Clementina, agghindata come una sposa per il suo giorno più bello: la stanno aspettando, perché deve iniziare subito a pregare lassù per i tanti cui l’ha promesso, come d’altronde ha già sempre fatto quaggiù.
(3 – fine)