Persone migliori… o forse no

Ne usciremo persone migliori. Era un auspicio più che una certezza. Un sogno che sventolava dai balconi, tradotto nello slogan “Andrà tutto bene”. E forse è ancora presto per fare bilanci. L’onda lunga di questi tre mesi deve forse ancora infrangersi sulle nostre vite in questa ritrovata libertà. I numeri tuttavia ci dicono che ora ne stiamo uscendo, da quella fase acuta. Non senza cicatrici che ci porteremo nel cuore e nel portafoglio, con famiglie che stanno cercando di elaborare lutti vissuti “a distanza” e altre per le quali le difficoltà, questa volta economiche, iniziano solo ora. Ne usciremo persone migliori, avevamo detto. Ed era il sogno di chi, pur nella difficoltà e nel buio totale, intravede comunque un’occasione per fare un passo in avanti. Verso una maggiore consapevolezza di fare parte di una comunità, che è la comunità umana, a un passo da me, come all’altro capo del pianeta. Senza confini, senza distanze. Perché nelle difficoltà ci si sente tutti sulla stessa barca. Ma finita l’emergenza, cosa resta? Partendo dal fatto che l’emergenza non è finita per tutti, e che in alcuni Paesi questa pandemia si aggiunge in modo devastante al virus della povertà e dello sfruttamento, siamo davvero sicuri di essere migliorati? Di guardare l’altro con maggiore empatia, senso di appartenenza alla stessa razza, che è una soltanto ed è la razza umana? Le cronache di questi giorni non ci confortano. Ancora parole di odio, il web intriso di violenza, discriminazione. Rifiuto del dialogo. No, non siamo persone migliori. C’è ancora tanta strada da fare. Davvero tanta.