Beato Oddino, così lontano così vicino (3ª parte)

Busto di Oddino Barotti nella Chiesa della SS. Trinità a Fossano
Busto di Oddino Barotti nella Chiesa della SS. Trinità a Fossano

Poiché i malati sono anch’essi poveri, non solo di salute ma, a quell’epoca soprattutto, di cure e di assistenza, eccolo tuffarsi in questa nuova opera di misericordia, eredità dal suo pellegrinaggio in Terra Santa, dove ha potuto meditare sui luoghi della Passione. “Tocchiamo in chi soffre le piaghe di Gesù”, direbbe oggi papa Francesco e Oddino in un certo senso lo anticipa, o meglio ancora segue semplicemente il Vangelo alla lettera, destinando alcune stanze di casa sua ad accogliere i malati più abbandonati, al cui mantenimento e cura provvede di tasca propria o al massimo con il sostegno di qualche benefattore. Evidentemente, per quanto ammirevole, ciò non rappresenta che una goccia nel mare dei bisogni assistenziali di Fossano e come conseguenza si ritrova a progettare e costruire un ospedale vero e proprio che sarà anticipatore dell’attuale. Siamo nel 1382 e Oddino si lancia nell’impresa insieme alla Confraternita del Crocifisso di cui è priore e che ha tra i suoi fini principali l’assistenza ai malati e l’accoglienza dei pellegrini. Sembra che il nostro beato riveli particolari doti di progettista, costruttore e collettore di beneficienza pubblica se nel giro di sette anni non solo riesce a portare a termine l’ospedale e a metterlo in funzione, ma addirittura riesce a dare assistenza ai contagiati di “due specie di morbi, dalla loro provenienza appellati Asiatici”, cioè la lebbra e il fuoco sacro, realizzando per loro, fuori dell’abitato, due lazzaretti, le cui tracce, almeno per il lebbrosario, devono essere cercate nella tuttora esistente cappella di San Lazzaro, dove chi vi si reca ha la certezza di calpestare la stessa terra del beato Oddino.

È proprio per non sprecare tal quantità di doti in lui assommate che, appena terminata l’impresa dell’ospedale, subito gli affidano l’altrettanto ardua della costruzione della Collegiale (cioè la nostra attuale cattedrale). Che non fosse impresa di poco conto lo dimostra il fatto “che principiata, al dir del Caramelli, sin dal 1253, venne quasi subito sospesa a motivo che i nuovi abitatori di Fossano intenti a fabbricarsi ciascuno la propria casa, non potean dar mano a fabbricare altri edifizi”. Nel 1395 lo nominano così procuratore (noi oggi diremmo “commissario straordinario”) con pieni poteri sulla costruzione della chiesa, definendolo, nero su bianco nell’atto di nomina, “sacerdote d'integrità somma, di zelo, e di attività non ordinaria”. Poi, visto che ci sono, l’anno successivo gli chiedono anche di occuparsi della parte pastorale, di ritornare cioè in buona sostanza a fare il parroco di quella che già era stata la sua parrocchia e in cui vi si tuffa con lo stesso entusiasmo della prima volta “Spero che farete cose ancora di maggior merito, e vi avanzerete di virtù in virtù”, gli scrive il suo vescovo, che conoscendolo bene sa di non sbagliare, mentre intanto Oddino fa proseguire i lavori “ed è maraviglia, dice il Negri, che con capitale incerto facesse edificare quasi la metà del corpo col facciale della chiesa, e la grossa mole del campanile”

Durante questi lavori i suoi contemporanei sono spettatori di cose prodigiose: il muratore che cade dall’impalcatura della torre campanaria ed è dato per morto, si alza senza un graffio e torna subito al lavoro non appena egli lo prende per mano; il carro stracarico di travi, sprofondato nella melma della Bossola, riparte dopo una sua semplice benedizione. Un uomo così nessuno lo ferma, neppure la pestilenza, che nel 1400 fa di Fossano il centro di una “zona rossa”. Si sospetta infatti essere qui l’epicentro di un contagio che terrorizza così tanto da imporre un cordone sanitario “perché l'estero intralasciasse con loro ogni comunicazione”. Nessuno meglio di noi, reduci dal coronavirus, può capire gli effetti, anche psicologici, di un contagio di questa portata, “che in pochi giorni finiva i poveri malati: molti e molti ogni giorno infermavano, e gli spedali già ripieni, parecchi perivano senza riparo, e non pochi vedeansi sulle pubbliche vie cadenti, e poco men che boccheggianti”. Oddino, abituato ad aver a che fare con malati e malattie, che ha dimostrato a più riprese di non aver paura di “sporcarsi le mani” nell’assistenza ai bisognosi, che ha già dato prova di non comuni doti organizzative e soprattutto umane in precedenti contagi, anche se non di tale portata, non si tira certo indietro, neanche questa volta. Fino allo sfinimento si dedica alla cura dei malati, all’assistenza spirituale dei moribondi, alla ricerca di viveri per sfamare i fossanesi più bisognosi, messi in ginocchio da un “lockdown” talmente prolungato da far morire di fame chi non è morto di peste.

(3-continua)