Beato Oddino, così lontano così vicino (4ª parte)

Dipinto del Beato Oddino nella Chiesa dei Battuti Neri
Dipinto del Beato Oddino nella Chiesa dei Battuti Neri a Fossano

Carità a vasto raggio, dunque, com’è nel suo stile, ma soprattutto sul piano pastorale, lo portano a sollecitare “pubbliche e private divozioni, esercizi di pietà, frequenza di sacramenti, pubbliche supplicazioni, digiuni, penitenze, e a tutto concorre con la voce, che esorta ed anima, e più ancor coll'esempio, che edifica e stimola”. Riesce anche ad ottenere dal vescovo “a maggior comodo del concorso, che affollavasi da ogni parte, la facoltà di celebrare su d'altari portatili”, per celebrare all’aperto e ridurre l’assembramento nelle chiese. Alla fine, com’è naturale, è contagiato pure lui e muore nel giorno del suo 56° compleanno, il 7 luglio 1400. Lo seppelliscono in gran fretta quello stesso giorno, dopo appena poche ore di camera ardente, perché “la qualità del morbo contratto volea, che fosse il più presto tolto”, ma nella tomba dei canonici dove viene deposto resta veramente poco. Per diverse mattine, subito dopo il funerale, aprendo la chiesa all’alba, il sacrestano si ritrova il beato Oddino inginocchiato davanti all’altar maggiore in un alone di luce. L’apparizione prosegue con tanta insistenza, coinvolgendo anche altri testimoni, da obbligare il sacrestano a confidarlo al parroco, che lo racconta ai canonici, che lo riferiscono al Vescovo e questi indaga, si informa e alla fine ordina che il corpo venga, già il 22 luglio, cioè appena quindici giorni dopo la morte, “elevato” dalla tomba sotterranea in un apposito loculo fuori terra. Da dove Oddino continua a far miracoli e grazie, dimostrandosi “specialista” soprattutto per le emicranie: è ancora il Muratori ad attestare che “chi pativa mal di testa, appoggiandola con viva fede al muro della sua tomba, e invocandone l'intercessione restavane libero”.

La tomba comincia a riempirsi di ex voto “poco men che quotidiani”, riporta sempre il nostro Autore, dimostrando che molti fossanesi (ma non solo!) hanno sentito l’efficacia della sua intercessione e che pe’ di lui meriti sono stati risanati da febbri ostinate, e da diverse malattie. Si afferma così sempre più la convinzione che al di là di quel muro non c’è soltanto quel che resta di un cadavere, ma un intercessore di riguardo, a conferma che Oddino, come gli altri santi “fa più rumore da morto che da vivo”. I pittori locali (certamente su indicazione del committente) si prendono la libertà di rappresentarne la figura circondata da raggi o con l’aureola intorno al capo. Si tratta evidentemente di un “abuso” perché così si dovrebbero rappresentare solo i santi e i beati riconosciuti tali dalla Chiesa, ma questo dice tutta la venerazione di cui Oddino gode presso i suoi devoti e anche in una parte del clero fossanese. Sempre il nostro biografo ci informa che suoi dipinti con gli attributi classici della santità, sono presenti nella chiesa del suo battesimo (San Giorgio), in quella di San Giovanni dove fu parroco, in quella di San Francesco che lo ebbe come Terziario, nell’ospedale e “financo nella “chiesa collegiale”.

Si tratta, dunque, di un’attestazione di devozione ben ramificata e diffusa, che si mantiene inalterata per quattro secoli, durante i quali viene insignito invariabilmente con il titolo di “beato”: assolutamente improprio, come abbiamo detto, ma sicuramente significativo per il valore che anche la Chiesa attribuisce alla vox populi, perché solo il popolo è “giudice imparziale del suo pastore, e testimone oculato dei suoi prodigi”. Nel 1608, con il vescovo Biolatto, si conclude il primo processo di beatificazione, che attesta l’esistenza di un autentico culto per Oddino, ch'ebbe principio dall'anzidetta elevazione del sepolcro, primo passo, nell'antico rito, alla beatificazione, e nel caso nostro, primo anello del continuato culto, al quale si annoda l'altro della fama della sua santità propagatasi d'età in età per lo spazio di dugent'anni. Poi, come spesso accade, il cammino verso la beatificazione si arena per altri due secoli. A inizio Ottocento (la diocesi è nel periodo di “sede vacante”, anzi “soppressa”) è il Capitolo della Cattedrale, attraverso l’Abate Giuseppe Michele Caramelli, preposito della cattedrale e vicario generale capitolare, a presentare istanza alla Santa Sede per la beatificazione. Attivissimo postulatore è il sacerdote e avvocato Girolamo Mattioli, mentre sponsor d’eccezione è il Conte Gaetano Falletti di Torre d‘Uzzone, ultimo discendente dei Barotti. Questa volta la Causa ha miglior fortuna e si conclude con la beatificazione, sancita da Pio VII il 3 settembre 1808, di Oddino Barotti, che diventa così il primo fossanese elevato all’onore degli altari.

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