Padre Gian Paolo Lamberto, missionario della Consolata originario di Centallo, opera in un centro interreligioso in Corea del Sud. Lo abbiamo più volte intervistato, durante i suoi rientri in Italia, sulla missione nel paese in cui risiede e su altri due paesi dell'Asia in cui risiedono altri missionari suoi confratelli. Ci scrive da molto lontano queste righe, a tratti umoristiche, per “aiutarci a capire e a far vedere che si può continuare a fare missione in ogni situazione”, anche la più semplice, anche la più difficile, come sembra ora la vita nell'era del Covid. E a ribadirci che, infine, pure in mezzo alle difficoltà, tutto si vince con l'amore, la gioia e la fede.
Carissimi,
Qui abbiamo avuto una seconda ondata del virus che è stata più forte della prima. Nella nostra città di Tejon (Daejeon) in un solo mese abbiamo avuto tre volte più contagi che in tutto il tempo precedente. Certo sono numeri ridicoli in confronto ai vostri: in totale non si arriva a 300 per la nostra città (che conta più di 1,5 milioni di abitanti, ndr). Comunque, sono stati sospesi tutti gli incontri, anche piccoli, e siamo stati di nuovo bloccati nelle nostre attività. A dire il vero alcuni ristoranti qui vicino erano sempre strapieni, ma si vede che il virus lì non attacca.
Quindi mi sono dato a un apostolato più “casereccio”, il “giardino delle Esperidi”. Qui a Tejon abbiamo un pezzo di giardino, ma non abbiamo né mele né zucchini d’oro. Ecco, non so il significato della parola, ma mi fa pensare alla speranza, come in spagnolo: “esperar”.
In questo senso il mio giardino è speciale. Dico mio perché io ne sono l’incaricato, qui “mio” è un pronome “affettivo” (esistono?) e non possessivo. Intanto ho chiesto al Signore di aiutarmi a farlo bello, ma bello in modo che tutti quelli che lo vedono sentano la presenza di Dio. Vabbè, chiedo molto, comunque lo chiedo! Aiuole per i fiori, un orticello di tre metri quadri e una intelaiatura a volta per i rosai. Ma tutto questo non posso farlo da solo, e ho bisogno della collaborazione dei miei confratelli.
In questo tempo di quarantena forzata abbiamo anche avuto alcuni momenti, diciamo, di “intensi chiarimenti di idee”, ma quando si tratta del giardino, l’amore della comunità si riversa alla grande. Padre X non solo si offre spesso volontario a togliere le erbacce, ma alla fine è anche contento. Padre Y si è appassionato ad alcuni progetti, come le fragole, una peonia, le rose. E mi bagna i fiori così che da maggio abbiamo sempre rose per la cappellina. Abbiamo alcune piante di mirtilli, che piacciono tanto a padre Tarmat, ma quando viene a visitarci, le signore nostre collaboratrici li hanno già mangiati tutti.
Poi passano alcuni davanti al nostro cancello, si fermano a guardare. Allora li invito a entrare, a passare sotto la volta di fiori profumati, gli faccio vedere una mia opera d’arte: su un pietrone due mani di terracotta da cui parte una scia di pietrine bianche che vanno a un vaso fiorito a forma di barca: “Dove è tutto sterile (la pietra) se si mette amore (le due mani) comincia una strada nuova che dà la vita”. Poi gli faccio vedere la nostra madonnina di pietra: Maria si svuota di sé per accoglierci, consolarci e entrare in dialogo con noi. E lì spiego chi siamo, e come funziona il nostro centro per il dialogo e la formazione spirituale e alla fede. A tutti piace. C’è anche chi poi confessa: “Ma il mio nome di battesimo è Francesco, però è tanto che non vado in chiesa!” Ecco una bella occasione per incoraggiarlo a riprendere la vita di fede. E in questo giardino seminiamo anche rosari: io con la scusa di fare un po’ di movimento cerco sempre di fare i miei tre rosari di base deambulando, e anche padre Y dopo cena si fa la sua passeggiata con il rosario.
Un giorno un radiologo, nostro vicino di casa che si professa apertamente ateo, è venuto col tagliaerba e ha messo in ordine il giardino perché gli siamo simpatici! E non è questo l’unico gesto di amore dei vicini: una cattolica ci fa trovare una scatola di pomodori davanti alla porta, un’altra della frutta, altre portano delle piantine da mettere nell’aiola.
A tavola parliamo spesso del giardino e ci facciamo tante risate, specialmente per le idee bizzarre che trovo su internet e che cerco di replicare come posso. Vi chiederete come mai tanto interesse per le verdure? Eh sì, sono anche il cuoco ufficiale della comunità. Ma autodidatta. Cerco di fare stare bene i miei confratelli e nessuno di loro è mai andato all’ospedale per colpa mia. Cerco di seguire il motto: “Missionario contento, la missione è un portento!”.
Ogni tanto guardo qualche ricetta, ma come si fa? A volte gli unici ingredienti uguali sono la pasta e l’acqua! Allora invento. Il massimo della creatività è stato quando ho fatto il vitello coi carciofi, senza vitello e senza carciofi! Gli esperti ti dicono “guai a fare l’amatriciana senza il guanciale”. Ma dai, qui l’unico guanciale che trovo è un cuscino imbottito di gommapiuma, o una versione locale dove l’imbottitura è fatta di semi di prugna (perché fa bene alla salute!). Ti scrivono, sale q.b.: cioè quattro bustine o quattro barattoli? Lo scalogno è una cipolla che porta sfortuna? Le dosi. Ti dicono, il riso: un pugno a testa! Se dò un pugno a testa ai miei confratelli finiamo tutti al pronto soccorso, altro che giustizia e pace. E se voglio preparare la pasta con le sarde come faccio? I pochi italiani che conosco qui sono siciliani, campani, veneti, laziali, però di sarde nemmeno l’ombra! Ma alla fine concludiamo in gloria con un buon espresso: il caffè macinato ce lo hanno procurato delle anime buone e la moka è quella che ha portato padre Ugo qualche anno fa. Vedete come l’amore fa il giro del mondo e poi ritorna?
Ecco tutto questo per dirvi che il nostro giardino è un’occasione per opere buone, per evangelizzare, incontrare, ridere, inventare, chiacchierare, e, perché no, anche per seminarci rosari passeggiando: è un giardino della speranza. E inoltre fa bene alla salute. Da gennaio ho perso 9 kg, ma se qualcuno li ritrova è pregato di non riportarmeli, dovrei perderne almeno altrettanti!
padre Gian Paolo Lamberto