Mons. Derio a Sant’Anna di Vinadio: “Tutto evapora, resta la roccia della fede e tanti volti”

Pellegrinaggio al più alto santuario d'Europa per rimarcare un sentito “grazie” alla vita

L'Eucarestia è già un momento di ringraziamento per i cattolici. Ma quella di sabato 5 settembre, nella splendida cornice dei monti che circondano il Santuario di Sant'Anna di Vinadio, accompagnata dalla limpidezza del tempo atmosferico, è stata una celebrazione nata proprio per rimarcare un sentito “grazie” alla vita. Vita costellata di eventi, belli e negativi, di cui il celebrante, mons. Derio Olivero (affiancato dal vescovo di Cuneo e Fossano Piero Delbosco, con alcuni sacerdoti della diocesi), ha tentato di darne “lettura” alla luce della fede e della Parola di Dio.
La celebrazione di sabato ha radunato i tanti amici del Santuario, giunti in macchina, a piedi, o...via streaming attraverso il sito internet, su interessamento del rettore don Beppe Panero. E' stato un momento per ricordare chi non c'è più a causa del coronavirus o altri motivi, per “chiedere l'aiuto di Dio, l'intercessione dei santi e della Madonna, nel proseguimento del cammino terreno”, in particolare per chi soffre. Un evento svoltosi in concomitanza con il tradizionale pellegrinaggio annuale de “Il cammino di Sant'Anna”, in collaborazione con il Cai ed il particolare interessamento di Kikki Sordella, che ha invitato proprio mons. Olivero come ospite d'eccezione, dopo essere stato guarito dal contagio del covid.

Sant'Anna Di Vinadio Pellegrinaggio Guarigione 1

E' stata inoltre una forte occasione per poter “reagire a ciò che ci capita, fiduciosi nonostante gli eventi”, ha detto mons. Olivero. Il quale, “per la prima volta nella vita”, si è “ritrovato davvero in faccia alla morte, e non solo attraverso il pensiero. Tanto che, a chi nega il virus, potrei fargli vedere la mia lunga cartella clinica”. Però anche in quella tragica situazione, da credente, “ho potuto dire alla morte che non avrebbe avuto l'ultima parola su di me!”. Nonostante che, di fronte a lei, ha aggiunto “tutto quello che noi siamo evapora; il proprio corpo, il proprio ruolo di vescovo; e allora?”. Che significato aveva in quella circostanza? “Ma ciò che non evapora è la possibilità di aggrapparsi alla roccia della fede e ai tanti volti che mi son passati davanti, perché nelle relazioni bisogna avere altrettanta fiducia”.
“Dietro di noi c'è infatti tutta l'intera società” ha aggiunto nell'omelia della messa. “Per questo dunque siamo ancora vivi. Una società che non è il nostro peso, ma la nostra fortuna. In questo mondo da soli si muore; questo significa dire grazie”. E infine ha fatto suo un aforisma sentito; “io sono un grazie che cammina!”, invitando i presenti ad essere innanzitutto “dei credenti”, prima di etichettarsi come fedeli di una determinata appartenenza ecclesiale, o come persone politicamente collocate da una parte o dall'altra. Credenti per fede, che, sola, deve connotare i cristiani e che sola, ha ribadito più volte, unicamente resta.
L'animazione della liturgia, accompagnata da alcuni canti dai testi significativi, come quello di Elisa, “Ti vorrei sollevare”, con l'esecuzione vocale di Raffaella Buzzi e quella strumentale di Giorgia Martina alla chitarra, hanno dato un ulteriore valore alle già ricche riflessioni di mons. Olivero, cercando nel sogno, nella collaborazione fraterna che diventa amore, un'ulteriore risposta  alle tante domande che nascono dalla sofferenza e dalla solitudine.

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