I “segni” lasciati da Natalino Bergese

Sabato 3 ottobre alle 18.30 messa in Cattedrale, a 30 anni dalla morte

Natalino Bergese

Trent’anni fa moriva Natalino Bergese. In sua memoria sabato 3 ottobre, alle 18.30, verrà celebrata una messa in Cattedrale a Fossano. Natalino Bergese fu il primo Presidente unitario dell’Azione cattolica fossanese, negli anni Settanta, ma anche figura importante per la comunità civile, quale amministratore dell’ospedale, in Provincia e in Comune.

Ci sono delle persone, dei Santi ordinari, che hanno segnato in qualche modo la nostra storia. Tra di loro ce ne sono però alcuni che non hanno segnato solo noi, ma noi insieme a tanti altri. Che hanno cioè lasciato una traccia profonda nel modo di essere della nostra stessa Comunità. Tra di essi va certamente collocato Natalino Bergese. Nel suo caso ricordare, solo ricordare, mi sembra una operazione troppo limitata. Quasi la scelta di consegnarne la fotografia alla polvere del tempo. Credo infatti che Natalino abbia da dire cose importanti anche oggi: a ciascuno di noi e a questo tempo un po’ distratto. Più che di “ricordo” mi sembra quindi opportuno parlare di “memoria”, di testimonianza. Del richiamo cioè ad alcune delle tracce che ha lasciato e che tocca a noi ora attualizzare. Mi rendo conto che questa è un’operazione parziale perché filtrata dalla sola esperienza personale. Ma mi sembra anche la più vera.

 La prima volta che incontrai Natalino avevo 16 anni. Era un’adunanza della Giac (Gioventù di Azione cattolica) e Natalino ci parlò della Grazia. Mi sembrò strano che a farlo non fosse un prete. Avevo evidentemente ancora tante cose da scoprire. Lo capii dopo qualche tempo iniziando a frequentare lui e l’ambiente. Natalino era testimone di una Fede ad un tempo essenziale e rigorosa. Priva di fronzoli, ma molto profonda. Ne parlò, in occasione della sua morte, un suo “discepolo”: Pino Longo che a 20 anni lo ebbe come vice-delegato aspiranti al Salice e poi don Carlo Lenta che lo accompagnò per tutta la vita (prima in Ac e poi come amico e Cappellano dell’Ospedale, di cui Natalino fu presidente per 14 anni filati). Poche consuetudini (Parola di Dio quotidiana, Eucarestia, rosario) ma ferme. Come molti nel suo tempo fu testimone di una Fede che per sua stessa natura era orientata agli altri e nello specifico alla responsabilità sociale. Per rendersene conto è sufficiente citare le date dei suoi incarichi. Natalino fu presidente della Giac dal 1954 al 1963 e dal 1962 al 1976 presidente dell’Ospedale. Dal 1970 al 1976 fu presidente a Fossano della prima Ac unitaria e dal 1976 fino alla morte Consigliere provinciale (dal ’76 all’80 anche Assessore provinciale ai Servizi sociali). Fu eletto Consigliere provinciale con uno dei quozienti più alti mai registrati da un candidato in Provincia di Cuneo. E non a caso. Aveva guidato infatti con grande lungimiranza la trasformazione dell’Ospedale da ente assistenziale in nosocomio tra i più moderni e attrezzati della Provincia. E lo aveva fatto con una competenza e una coerenza che, nello stile del personaggio, arrivava fino allo scrupolo. Come quello di trasferire la sua abitazione di fronte all’ente per essere sempre disponibile in caso di necessità. O di rinunciare per tutta la durata dell’incarico alla indennità di presidente per destinarla all’acquisto di attrezzature. Meno noto ma ugualmente significativo è il modo con cui ha vissuto l’intreccio tra esperienza politica e esperienza di Fede. Ne parlò per primo Beppe Manfredi, suo grande amico ed estimatore, segnalando il rifiuto fermissimo che Natalino oppose durante la campagna elettorale per le provinciali a che fosse detto o scritto che era stato presidente diocesano di Ac. Non voleva confondere i piani. Ci teneva invece a sottolineare come la Fede non fosse un titolo di merito (da vantare), ma semmai una chiamata a una maggiore responsabilità (da dimostrare). Infine, Natalino fu un uomo che cercava di incontrare e sapeva “lasciarsi incontrare”. Da presidente di Ac non conosceva solo ogni singolo aderente (ed erano più di un migliaio) per nome e cognome, ma anche per storia e situazione. E sapeva rendersi presente quando avvertiva qualche necessità. Non era abituale vederlo passeggiare in via Roma, ma quando questo succedeva per noi più giovani era uno spasso. Era facile prenderlo in giro. Difficilmente infatti il tragitto dal Municipio all’Ospedale durava meno di un’ora. Lo fermavano in molti e lui non si giustificava. Semplicemente ci ricordava che “era suo dovere”.

Silvio Crudo