Con don Stefano, dove osano le aquile (3ª parte)

don Stefano Gerbaudo

Per allenarsi a donare, don Stefano Gerbaudo impara prima a rinunciare: ad un regalo, a qualcosa che gli piacerebbe o che gli servirebbe e di cui impara a fare a meno. Anche se gli costa. Lo troviamo annotato sul suo taccuino: un caffè in meno, un dolce rifiutato, una maglia nuova di cui si priva. Piccole rinunce che lo preparano a donare tutto. Non è masochista, non rinuncia a qualcosa per farsi del male. Lo fa per sentirsi libero, per imparare a donare. Per questo è allegro e felice, proprio come un atleta, che rispetta il piano di rinunce e di sacrifici che gli prospetta l’allenatore perché il suo allenamento abbia un effetto migliore. Con un allenamento così, può anche consigliare ad una ragazza, che si è comprata un ombrello nuovo e ha regalato ad un’amica quello usato: “Avresti fatto meglio a donare a quell’amica l’ombrello nuovo e continuare a tenere per te quello usato”. Egli sta facendo così: se gli regalano una camicia o una maglia trova subito un bisognoso cui regalarla; nel suo letto non c’è la coperta, perché ha trovato un povero cui serve; anche i mobili spariscono dalla sua camera, quando c’è una famiglia che ne ha bisogno per arredare casa. Al momento della morte, nei cassetti del suo armadio non trovano neppure una camicia decente per rivestire la sua salma: le ha donate sistematicamente tutte! Le ragazze di allora ricordano che, pur avendo sempre gli abiti pulitissimi e pur essendo molto curato nella sua persona, la sua talare è sempre molto consumata e gli indumenti sono spesso rammendati, perché non ne ha mai di nuovi da indossare: sono stati tutti regalati al primo bisognoso! Alle sue giovani ripete: siategenerose fino in fondo; bisogna donarsi a Dio e ai fratelli, donarsi a tutti e donare tutto, senza riserve; se non si capisce la lezione della generosità siamo a zero. Ed egli lo dimostra: regalando il suo tempo a chi ha bisogno di lui; restando intere mattinate in confessionale, a disposizione di chi cerca il perdono di Dio; lasciandosi svuotare le tasche dal primo povero incontrato al mattino; regalando alle famiglie bisognose quello che gli altri hanno regalato a lui.

Bisogna lasciarsi mangiare dalla gente per amor di Dio, insegna; e i giovani di allora hanno proprio l’impressione che don Stefano sia come il pane, fragrante e profumato, appena uscito dal forno del panettiere, che ciascuno può sbocconcellare a suo piacimento, fino a che si è tolto la fame. Si lascia “mangiare” da chi ha bisogno di un consiglio e di una preghiera; da chi ha bisogno di confessarsi o di trovare qualcuno che lo ascolti; da chi ha bisogno di essere consolato o di essere incoraggiato; dalle ragazze di Azione Cattolica che lo aspettano per una riunione e dai giovani del seminario che fanno con lui il ritiro spirituale. Per ciascuno ha una parola buona, un consiglio, una preghiera a seconda dei casi; per tutti, indistintamente, un sorriso.

Chi si stupirebbe se anche questo prete, dopo una giornata così vorticosa ed intensa, che inizia prima dell’alba e finisce a notte fonda, avesse anche lui le batterie scariche? Se anche lui fosse, se non esaurito, perlomeno stanco? Se non gli succede, non è in virtù di chissà quali superpoteri, ma semplicemente perché, al mattino e lungo il giorno, ha fatto il rifornimento giusto, inginocchiato davanti a Gesù. E alla sera, lo testimoniano i preti che gli vivono accanto, dopo aver per tutto il giorno parlato di Dio ai giovani, trova ancora il tempo per parlare dei suoi giovani a Dio, per presentargli le loro vite, i loro sogni, le loro speranze. È forse per questo che accanto a lui fioriscono le vocazioni: attirate da lui, affascinate da lui conquistate da lui, molte ragazze scelgono di farsi suore, di essere missionarie, di servire i fratelli. Gesù passa e chiama, attente a cogliere la sua chiamata, ripete. Una cinquantina di ragazze sentono tramite lui la chiamata di Gesù: don Stefano le accompagna con la sua preghiera e con il suo consiglio.

(3 - continua)