Un divano a Tunisi

un divano a Tunisi

di Manele Labidi Labbé; con Golshifteh Farahani, Majd Mastoura Mastoura, Aïsha Ben Miled, Feryel Chammari, Hichem Yacoubi, Ramla Ayari, Moncef Anjegui.

Premio del pubblico alla sezione Giornate degli Autori del Festival di Venezia 2019, approda ora sugli schermi italiani la simpatica commedia franco-tunisina dell’esordiente Manele Labidi Labbé “Un divano a Tunisi”.
Emigrata bambina a Parigi con il padre, dopo la rivoluzione dei Gelsomini (2010) Selma decide di far ritorno a Tunisi per aprire uno studio da psicoanalista nella città dov’è nata. Convinta che i tempi siano ormai maturi e che anche per la retrograda, sessista e corrottissima società tunisina sia giunta l’ora di cambiare, Selma (un’ottima Golshifteh Farahani) dovrà fare i conti con una realtà sociale a dir poco schizofrenica, che da un lato ha più che mai bisogno di aprirsi e confrontarsi e dall’altra, ipocritamente radicata a valori sociali conservatori, è assolutamente incapace di farlo. E così, se è sufficiente per Selma spargere la voce nel vicinato per avere la fila davanti allo studio è altrettanto vero che allo stesso modo ciò significa trovarsi tra i piedi gli agenti della polizia (per altro particolarmente stupidi e odiosi) pronti a farle chiudere lo studio.
Attraverso una galleria di personaggi e situazioni a tratti esilaranti (la prova dell’alcool test, l’impiegata fannullona che vende lingerie sul posto di lavoro) e a tratti sconfortanti (la solitudine dell’Imam), il film tratteggia con ironia, sarcasmo e puntualità un affresco della società tunisina e, potremmo dire, nordafricana in bilico sul baratro, tra la possibilità di cadere nella voragine di una dittatura islamista quanto di aprirsi ai modelli di una democrazia liberale. E’ evidente che il cuore di Selma (alter ego della regista) batta per questa seconda opzione.
Da vedere.