La meglio gioventù (1ª parte)

Roggia E Morano

Di Carletto Palestrino sono i più entusiasti collaboratori e così, dopo aver parlato, alcuni mesi fa, del leader (1ª parte, 2ª parte) è giusto parlare anche dei suoi gregari. Che non deve essere inteso in senso riduttivo, in quanto serve unicamente a distinguere i ruoli e non a stabilire graduatorie di merito. Nel periodo bellico, già è stato detto, c’è un’intera generazione, la meglio gioventù fossanese degli Anni Quaranta, che a Carletto guarda come a un modello e che si lascia trascinare e affascinare dalla sua verve, dal suo carisma e dalle sue indiscusse capacità organizzative e anticipatrici sui tempi. Sua, ad esempio, è l’idea, di una sede cittadina di Azione Cattolica come punto di ritrovo di tutti i giovani fossanesi, dotata di bigliardino, tavoli da ping pong, bar e giochi da bocce, perché solo così, pensa Carletto, si riesce ad intercettare una fascia giovanile, che poi potrà proseguire l’attività formativa presso la propria parrocchia di riferimento. Nell’allegra combriccola che fa pulsare di vita e di briosità la sede di Via Garibaldi ci sono anche loro, Filippo e Telmo, amici per la pelle nonostante la differenza di età. Telmo Roggia, dei due, è il più giovane, nato nel 1926 in Argentina, ad El Arañado, nei pressi di Cordoba. Papà Tommaso vi è andato a cercar “la Merica”, senza trovarla; in compenso ha trovato l’amore di Valentina, piemontese d’Argentina, dalla quale ha tre figli: oltre a Telmo, anche Dante, del 1928, e Celio. Nel 1935, attratto dalle promesse fatte dal Regime agli italiani all’estero, ritorna con la famiglia a Fossano e apre una panetteria in Salita Salice, appena oltre la “bialera” del Naviglio. Chissà quante micche e quanti “stirà” deve cuocere di notte e vendere di giorno per far studiare i figli, raccogliendo però la soddisfazione di vedere Telmo studiare con profitto a Torino, mentre Dante studia pianoforte e si sta avviando verso una promettente carriera di musicista. Le testimonianze sono concordi nel descrivere Telmo come ragazzo brillante ma particolarmente umile, capace di rinunce e mortificazioni per la fedeltà al suo ideale, fosse anche solo un caffè al bar o una sigaretta con gli amici.

Anche la famiglia di Filippo Morano ha radici umili. Papà Tancin (Costanzo) ha vissuto il crac finanziario della cassa rurale di cui era socio, vedendo così sfumare come tanti altri contadini i risparmi di una vita ed ora mantiene la famiglia lavorando la terra presso terzi. Insieme alla moglie, Caterina Asteggiano, di sedici anni più giovane, ha perso tutto, tranne la fede: è uomo colto, che sa di latino e che “sovente nei suoi discorsi interponeva Dio e lo rifletteva in ogni cosa”, come ricorda un giovincello dell’epoca che spesso se lo ritrova al fianco a rincalzar granoturco e a girare il fieno. Uomo riflessivo e dal giudizio pacato, pieno della saggezza degli uomini semplici e giusti, è consultato volentieri, o perlomeno ascoltato con rispetto, anche dai notabili e dalla gente “che conta”. Dei nove tra figli e figlie di Tancin e Caterina, Filippo è il primo maschio: cresciuto all’ombra di quel galantuomo di suo padre, non può che essere anch’egli onesto e retto come gli ha insegnato. Nella prima infanzia, durante un banale gioco tra bimbi, ha perso un occhio, ma ciò non gli impedisce di fare il militare in Fanteria a Casale Monferrato nel 1941. Adesso ha trovato lavoro presso la ditta Sordella di Moncalieri, dove son molto contenti di lui e lo ammirano per la sua serietà e per il suo impegno. Fa il pendolare, Filippo, tutte le mattine sul presto e tutte le sere a fine giornata, andata e ritorno sulla tratta Fossano-Moncalieri, ma ci vuole altro a piegare la sua forte fibra e la sua volontà, che devono essere della stessa natura del materiale che si lavora dai Sordella: solido, concreto, resistente, ma nello stresso tempo modellabile. Fa parte della Forti e Sani, la società sportiva che don Berardo ha fondato per forgiare uomini robusti nel fisico e forti nello spirito, si cimenta nel ciclismo e nella boxe, ama pure suonare la fisarmonica.

Soprattutto, Filippo, è un entusiasta tesserato dell’Azione Cattolica, e diventa primo collaboratore di Palestrino nel far funzionare la sede cittadina e nell’animazione dei giovani. È probabilmente in questa veste che la sua vita incrocia quella di Telmo, anche lui del Salice, cui hanno affidato le funzioni di segretario del Centro diocesano. Sono della stessa tempra i due: hanno le idee chiare, non fanno mistero della loro fede, sono coraggiosi e spiritualmente forti. Come tanti loro coetanei, si ispirano a Piergiorgio Frassati, il giovane torinese, oggi Beato, diventato bandiera e modello dei giovani cattolici. Gino Bima riferisce, per averlo visto personalmente e per essergli stato attestato da altri, che Filippo, viaggiando in treno, sgrana quasi sempre il rosario, senza esibizionismo, ma anche senza vergogna. Ad una ragazza che gli chiede quale sia il segreto della sua forza, sempre secondo la testimonianza di Bima, senza rispetto umano fa vedere la corona del rosario che tiene in tasca e risponde: “Ecco, la forza sta tutta qui e nella mia fede”. Il che non gli impedisce, quando è il momento, di far caciara con gli amici, però con una allegria sempre misurata e condita anche di timidezza per la quale, attesta un altro amico, “noi lo prendevamo bonariamente in giro con gli stornelli, adattati su misura per lui sulle note di “O Dio del cielo se fossi una rondinella”.

(1 - continua)