La meglio gioventù (2ª parte)

Morano e Asteggiano

A casa Morano ci si sveglia presto al mattino e la prima è sempre mamma Caterina, alle quattro già con il fuoco acceso e impegnata ai fornelli per preparare il “barachin”del suo Filippo, che al risveglio non fa mai colazione prima della messa e della comunione quotidiana, per ricevere la quale, a quell’epoca, bisogna essere digiuni dalla mezzanotte. Per lui è un appuntamento fisso cui non può rinunciare e che la mattina del 27 settembre 1944 condivide con Telmo, che prenderà con lui il treno per Torino, dove è atteso per un esame. Insieme fanno la comunione, che se ogni giorno è loro viatico negli impegni e nelle difficoltà della giornata, particolarmente lo sarà quel mattino, ultimo della loro vita. Che inizia con un bel ritardo nella partenza dalla stazione di Fossano, di cui Telmo approfitta per fare ancora un salto a casa a salutare mamma, quasi presago di ciò che sta per accadere, e prosegue con l’attesa della coincidenza da Bra alla stazione di Cavallermaggiore, dove ad un tratto scoppia l’inferno, con l’arrivo di una flotta di bombardieri (le testimonianze discordano sul numero, certamente tra sette e otto), i passeggeri in fuga dal treno a cercar salvezza nella campagna circostante oppure nell’improvvisato rifugio antiaereo, che invece diventa la loro tomba quando raffiche di mitraglia e bombe (forse una quindicina) cominciano a seminare distruzione e morte. Non si saprà mai con esattezza il numero dei morti: ufficialmente si parla di “24 e più” e così verrà inciso sulla lapide a ricordo dell’evento, ma certamente non sono meno di trenta perché alcuni non vengono neppure identificati e di altri non è possibile che recuperare irriconoscibili brandelli.

Di certo vi trovano la morte, dalla zona fossanese, il farmacista Manassero e la figlia Tina, laureanda in Farmaceutica, la coppia genolese di Stefano e Anna Bosio, oltre ad Antonio Costanzo e Stefano Gosmar, anch’essi di Genola. A Tancin (Costanzo) l’ingrato dolorosissimo compito di identificare, tra le salme recuperate e identificabili, quella del figlio Filippo e del di lui fraterno amico Telmo. Lacrime, dolore e rimpianto a Fossano per i due splendidi giovani impegnati, che l’Azione Cattolica vuole seppellire uno accanto all’altro, sotto un‘unica lapide la cui epigrafe è dettata da Gino Bima.

La famiglia di Telmo, distrutta dal dolore, nel 1950 ritorna in Argentina, dalla quale, dodici anni dopo, rientrerà il solo Dante per proseguire in Europa la sua carriera di insegnante, musicista e pubblicista. Quella di Filippo tiene duro, aggrappandosi alla fede e faticosamente cercando di riprendersi da un lutto così devastante. Tre figlie gestiscono in casa il loro atelier (biancheria intima, abbigliamento e cappelleria), che con tre distinte clientele è un autentico porto di mare, dove si infiltrano anche spie fasciste, barcamenandosi nell’altalenante e pericolosissima situazione politica del momento: Giovanna, unica modista di Fossano, di giorno cuce i baschi per le Camicie nere e di notte per i partigiani, al punto che questi baschi diventano addirittura “merce di scambio” per strappare giovani fossanesi dalle grinfie dei fascisti.

Sette mesi dopo la morte di Filippo, il 26 aprile, le truppe tedesche al comando del capitano Meissner, incalzate dai partigiani che avanzano da Sant’Albano, si trasferiscono dalla caserma Piave alla caserma Bava, sfilando per via Roma e via don Bosco e operando un rastrellamento particolarmente feroce in cui trovano la morte molti innocenti, mentre mons. Borra e don Michele Pellegrino tentano una mediazione impossibile con Meissner. Le truppe tedesche, transitando davanti al carcere, proprio all’incrocio con via Bava dove si trova la casa dei Morano (oggi contrassegnata da una lapide riprodotta in questa rubrica), sentono il ritmo cadenzato di una preghiera: Tancin e Caterina, insieme alle figlie Agnese, Domenica e Rina, mentre infuria la battaglia, stanno recitando il rosario, com’è loro solito a quell’ora del pomeriggio. Un militare, vigliaccamente e senza motivo, si avvicina alla finestra, ne spacca il vetro e da questa apertura lancia nella cucina, dove si trova il gruppo dei rosarianti una bomba a mano, che dilania i coniugi Morano provocandone la morte immediata e ferisce due delle figlie. Amici e conoscenti, tra cui i compagni di Filippo, molti sacerdoti che dai Morano sono di famiglia, don Pellegrino e lo stesso vescovo Borra, si alternano in quella casa a portar conforto e a rendere omaggio a Tancin e Caterina, le cui preghiere di pace sono state così bruscamente interrotte, ma che essi, insieme a Filippo, da 75 anni, stanno continuando a recitare in un’altra dimensione.

Per approfondire la vicenda dei Morano e la loro tragica fine consigliamo vivamente la lettura di G. Vincenti “Ricordi di Guerra” (Grafiche Vincenti), cui noi abbiamo abbondantemente attinto con il consenso dell’Autore, che ringraziamo di cuore.

(2 - fine)