Cari amici, non possiamo stare a guardare: è l’ora di “speranzare”

Padre Bruno scrive ai fossanesi, dopo l’appello di Nino Mana

Padre Luigi Bruno

Carissimi amici fossanesi, il tempo passa carico di domande inquietanti. Obbligati a vivere isolati, a mantenere distanze, ci sentiamo più fragili, sentiamo quanto dipendiamo gli uni dagli altri.
Ho letto con attenzione la lettera di Stefano Mana al sindaco, condivido pienamente la sua riflessione e il suo appello a tutte le istituzioni che sono presenti nella vita della città. Grazie a questa lettera mi sono sentito ancora di più fossanese. Accompagno le notizie sulla seconda ondata della pandemia che ha nel Piemonte una delle regioni che più soffre. Voglio essere presente con la mia preghiera e la mia amicizia, ciò che ho fatto anche con Don Derio.
Qui la situazione non è migliore. Non abbiamo neanche il conforto di poter avere una parola di attenzione delle autorità. Questa settimana il Presidente ha dichiarato che i brasiliani sono un popolo di “maricas” (persone deboli e piagnucolose).
Domani (15 novembre) avremo le elezioni comunali per eleggere il sindaco e i consiglieri. La campagna elettorale è stata uno spettacolo deprimente: un gioco di corruzione dominato dalle milizie (gruppi paramilitari), dai trafficanti di droga e da politici corrotti. Voi mi direte, e lo dico anch’io: ma perché la gente non reagisce? Il Brasile ha conosciuto nella sua storia eroi straordinari, ma il popolo è sempre stato educato alla passività. La Chiesa ha anche la sua parte di colpa. È arrivata insieme ai colonizzatori europei ed è stata per molto tempo alleata al potere economico e politico perché credeva che questa fosse l’unica strada possibile per evangelizzare. Inoltre, adesso la situazione di miseria è tale che vendere il voto per 20 euro ti permette di portare a casa cibo per una settimana. E chi è il papà o la mamma, che ha figli che fanno la fame e chiedono un po’ di pane, che non cede alla tentazione di vendere il suo voto?

In questa situazione ti senti debole e ti domandi cosa fare. Qui in Brasile va di moda tra chi è immerso in questa situazione la parola “speranzare”, cioè alimentare la speranza nostra e degli altri per continuare a camminare. Penso proprio che questa sia la missione di chi ama questa gente e si sente inviato da Gesù ad annunciare la Buona Notizia di salvezza. Ma come alimentare la speranza di chi vede le sue condizioni di vita peggiorare ogni giorno, di chi si sente solo perché intorno a lui regna l’indifferenza delle autorità e anche dei “buoni cristiani.”
Come? Siamo in tempi di siccità. Allora facciamo come il contadino che non si arrende. Ha una zappa in mano e una manciata di semi, zappa e colloca i semi, ha fiducia in Dio che manderà sole e pioggia, che faranno germogliare quei semi e dare frutti. È un’ora difficile per tutti, ma chi ha fede sa che tutte le ore sono benedette da Dio. Quindi è l’ora della nostra responsabilità di “speranzare”, alimentare la nostra speranza e la speranza degli altri. È l’ora di sentirci fratelli e sorelle, stretti, uniti e di annunciare che Dio continua a essere il Dio della vita. Non possiamo stare a guardare, essere indifferenti, dobbiamo essere vicini, stringerci nell’abbraccio della solidarietà. Stefano Mana ha ragione, Papa Francesco ha ragione, mi unisco a loro.

padre Luigi Bruno, diocesi di Nova Iguaçu, “periferia della periferia” di Rio De Janeiro