I vescovi: “L’emergenza richiede senso di responsabilità e unità”

Messaggio del Consiglio episcopale permanente alle comunità cristiane in tempo di pandemia

Il vescovo di Fossano e Cuneo presiede la messa (Fossano, 7 novembre 2020)

“L’Italia, insieme a molti altri Paesi, sta affrontando grandi limitazioni nella vita ordinaria della popolazione e sperimentando effetti preoccupanti a livello personale, sociale, economico e finanziario. Le Chiese in Italia stanno dando il loro contributo per il bene dei territori, collaborando con tutte le Istituzioni, nella convinzione che l’emergenza richieda senso di responsabilità e di unità: confortati dal magistero di Papa Francesco, siamo certi che per il bene comune occorra continuare in questa linea di dialogo costante e serio”.
È quanto si legge nel messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia, approvato dal Consiglio episcopale permanente (Cep) e diffuso oggi, 24 novembre.”Non possiamo nascondere di trovarci in un tempo di tribolazione”, scrivono i vescovi italiani: “Dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno. La situazione che si protrae da mesi crea smarrimento, ansia, dubbi e, in alcuni casi, disperazione. Un pensiero speciale, di vicinanza e sostegno, va in particolare a chi si occupa della salute pubblica, al mondo del lavoro e a quello della scuola che attraversano una fase delicata e complessa: da qui passa buona parte delle prospettive presenti e future del Paese”.  Di qui la necessità di “reagire rimanendo saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi”. “Dinanzi al crollo psicologico ed emotivo di coloro che erano già più fragili, durante questa pandemia, si sono create delle ‘inequità’, per le quali chiedere perdono a Dio e agli esseri umani”, l’appello: “Dobbiamo, singolarmente e insieme, farcene carico perché nessuno si senta isolato!”.

"Le autorità civili sostengano le famiglie”
“Questo tempo difficile, che porta i segni profondi delle ferite ma anche delle guarigioni, vorremmo che fosse soprattutto un tempo di preghiera. Le diverse e, talvolta, sofferte condizioni di molte famiglie saranno al centro delle preghiere individuali e comunitarie”, l’auspicio della Chiesa italiana, secondo cui “questo ‘tempo sospeso’ rischia di alimentare fatiche e angosce, specialmente quando si acuiscono le tensioni tra i coniugi, per i problemi relazionali con i figli, per la mancanza di lavoro, per il buio che si prospetta per il futuro!”. “Sappiamo che il bene della società passa anzitutto attraverso la serenità delle famiglie”, scrive il Cep: “Auspichiamo, perciò, che le autorità civili le sostengano, con grande senso di responsabilità ed efficaci misure di vicinanza, e che le comunità cristiane sappiano riconoscerle come vere Chiese domestiche, esprimendo attenzione, sostegno, rispetto e solidarietà”. “Anche le liturgie e gli incontri comunitari sono soggetti a una cura particolare e alla prudenza”, fanno notare i vescovi: “Questo, però, non deve scoraggiarci: in questi mesi è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Le ristrettezze possono divenire un’opportunità per accrescere e qualificare i momenti di preghiera nella Chiesa domestica; per riscoprire la bellezza e la profondità dei legami di sangue trasfigurati in legami spirituali. Sarà opportuno favorire alcune forme di raccoglimento, preparando anche strumenti che aiutino a pregare in casa”.

“Rifiutare la logica del si salvi chi può”
“La crisi sanitaria mondiale evidenzia nettamente che il nostro pianeta ospita un’unica grande famiglia, come ci ricorda Papa Francesco nella recente Enciclica Fratelli tutti”. Occorre, quindi, “rifiutare la logica del ‘si salvi chi può’, perché, come afferma ancora Papa Francesco, ‘il “si salvi chi può’ si tradurrà rapidamente nel ‘tutti contro tutti’, e questo sarà peggio di una pandemia’. In tale contesto i cristiani portano anzitutto il contributo della fraternità e dell’amore appresi alla scuola del Maestro di Nazareth, morto e risorto”. “Tutto questo sta avvenendo nelle nostre comunità”, assicurano i vescovi: “Se i segni di morte balzano agli occhi e s’impongono attraverso i mezzi d’informazione, i segni di risurrezione sono spesso nascosti, ma reali ancor più di prima. Chi ha occhi per vedere può raccontare, infatti, d’innumerevoli gesti di dedizione e generosità, di solidarietà e amore, da parte di credenti e non credenti: essi sono, comunque, ‘frutto dello Spirito’ Vi riconosciamo i segni della risurrezione di Cristo, sui quali si fonda la nostra fiducia nel futuro. Al centro della nostra fede c’è la Pasqua, cioè l’esperienza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola, ma sono trasfigurate dalla risurrezione di Gesù”. “Ecco perché riteniamo che questo sia un tempo di speranza”, si spiega nel messaggio: “Non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana. Un invito, questo, che rivolgiamo in modo particolare agli operatori della comunicazione: tutti insieme impegniamoci a dare ragione della speranza che è in noi”.

“Stiamo vivendo un tempo di possibile rinascita sociale”
“Le comunità, le diocesi, le parrocchie, gli istituti di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, i singoli fedeli stanno dando prova di un eccezionale risveglio di creatività. Insieme a molte fatiche pastorali – l’analisi dei vescovi – sono emerse nuove forme di annuncio anche attraverso il mondo digitale, prassi adatte al tempo della crisi e non solo, azioni caritative e assistenziali più rispondenti alle povertà di ogni tipo: materiali, affettive, psicologiche, morali e spirituali. I presbiteri, i diaconi, i catechisti, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali e della carità stanno impegnando le migliori energie nella cura delle persone più fragili ed esposte: gli anziani e gli ammalati, spesso prime vittime della pandemia; le famiglie provate dall’isolamento forzato, da disoccupazione e indigenza; i bambini e i ragazzi disabili e svantaggiati, impossibilitati a partecipare alla vita scolastica e sociale; gli adolescenti, frastornati e confusi da un clima che può rallentare la definizione di un equilibrio psico-affettivo mentre sono ancora alla ricerca della loro identità”. “Ci sembra di intravedere, nonostante le immani difficoltà che ci troviamo ad affrontare, la dimostrazione che stiamo vivendo un tempo di possibile rinascita sociale”, l’analisi controcorrente dei vescovi: “È questo il migliore cattolicesimo italiano, radicato nella fede biblica e proiettato verso le periferie esistenziali, che certo non mancherà di chinarsi verso chi è nel bisogno, in unione con uomini e donne che vivono la solidarietà e la dedizione agli altri qualunque sia la loro appartenenza religiosa. A ogni cristiano chiediamo un rinnovato impegno a favore della società lì dove è chiamato a operare, attraverso il proprio lavoro e le proprie responsabilità, e di non trascurare piccoli ma significativi gesti di amore, perché dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo. È sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti infatti verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo”.

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