La seconda ondata della pandemia colpisce più duramente rispetto ai mesi primaverili. Non lo dicono solo i numeri. Sentimenti come paura, insofferenza, ansia, incertezza sul futuro, in alcuni casi disperazione... sono molto diffusi nella popolazione. Eppure, siamo più “liberi”, possiamo muoverci, recarci al lavoro, una parte delle attività scolastiche avviene in presenza... Quali le ragioni? Ne parliamo con Alessia Allocco, psicologa e psicoterapeuta di Bra, che lavora sul territorio e collabora con le scuole dell’obbligo, offrendo supporto a docenti e genitori.
Cosa è accaduto in questa seconda ondata?
Innanzitutto, ci portiamo dietro i mesi del confinamento che sono stati molto faticosi, pesanti e hanno messo a dura prova l’emotività delle persone sotto il profilo relazionale, economico, sociale... In quei mesi la maggior parte delle persone ha reagito con una forte carica emotiva che ha sregolato l’organismo con intensità e gravità diverse, a seconda del carattere di ognuno e delle condizioni particolari che si stavano sperimentando. Abbiamo assistito a fenomeni di ansia, disturbi dell’umore, dell’appetito, del sonno... Però si è trattato di una fase a tempo determinato in cui l’attenzione delle persone era rivolta in avanti, alla fine. Inoltre, nel primo lockdown, soprattutto chi ha avuto la fortuna di non contrarre il virus, di non subire lutti, ha potuto utilizzare quel tempo sospeso per investire nelle relazioni familiari, in attività varie e dunque ha trovato un modo per alleviare l’angoscia (che si è espresso anche in forme pubbliche come i canti dai balconi, gli “andrà tutto bene”...). C’era sì preoccupazione, ma anche speranza e maggiore solidarietà a livello comunitario.
Poi è venuta l’estate...
Sì, un periodo di maggiore serenità, in cui le persone hanno cercato di mettere da parte quanto era successo, di rimuoverlo.
Questa seconda ondata si svolge in uno scenario apparentemente diverso. C’è più libertà rispetto al precedente lockdown, ma anche maggiore difficoltà ad accettare le limitazioni. Ci si sente un po’ come a nuotare in mare aperto, si fa fatica a vedere la terra, un approdo certo. Ora le persone desiderano solo tornare alla normalità, ma una normalità che è difficile vedere. L’incertezza sanitaria, sociale, economica genera paura diffusa, produce fenomeni collettivi di negazione, di rabbia. In questa seconda fase non siamo più chiusi in casa, “protetti”, stiamo imparando a convivere con il virus e questo genera stress: siamo posti di fronte all’esperienza del limite perché comprendiamo che non è possibile avere un controllo assoluto.
Lei lavora molto con le scuole, in particolare con genitori e docenti: qual è la situazione “psicologica” del pianeta scuola?
Com’è evidente, la situazione di emergenza sta mettendo a dura prova le istituzioni scolastiche. Le scuole devono affrontare una grossa sfida che non riguarda solo la sicurezza, la didattica in presenza o a distanza (dad); anche se la scuola, forte dell’esperienza dei mesi scorsi, si è attrezzata meglio per la dad, tutto viene svolto in un contesto di grande incertezza e di costante cambiamento. Da un giorno all’altro singole classi o interi istituti (nella scuola primaria e nel primo anno della media) possono passare da un tipo di didattica a un’altra... è molto faticoso e stressante abitare questa condizione! Ecco perché è necessario occuparsi del benessere emotivo di tutti gli adulti che ruotano attorno al mondo della scuola. Nei mesi scorsi ci si è occupati troppo dei dispositivi di sicurezza sanitaria, ma poco o nulla dei “dispositivi “psicologici necessari per affrontare questa situazione. Non dimentichiamo poi, che gli insegnanti stessi sono anche genitori, mogli, mariti... e quindi devono reggere un carico emotivo complesso in molti ambiti.
Qual è, in particolare, lo stato d’animo dei ragazzi?
Gli studenti vivono una condizione scolastica che rappresenta una grande novità. I più piccoli, che da settembre hanno potuto mantenere la frequenza scolastica, hanno sperimentato un ritorno alla normalità molto importante. Soprattutto là dove è stata offerta loro la possibilità di comprendere e di esprimere come vivono la quotidianità a scuola, con le nuove regole.
Perché è importante tornare ad una didattica in presenza?
Con la didattica a distanza si interviene sul piano dell’istruzione, ma difficilmente si può agire sul piano educativo, che richiede la presenza. In questa situazione, quelli che più faticano sono i ragazzi delle medie e superiori. Per loro i contatti con i pari sono importanti e servono a sviluppare la capacità di stare in gruppo, a comprendere il loro posto in mezzo agli altri. La chiusura delle scuole, il venir meno di attività e abitudini quotidiane, i mutamenti nelle relazioni amicali e affettive rappresentano dunque una grande fonte di stress per gli adolescenti. Occorre perciò lavorare insieme a loro perché possano esprimere quello che vivono.
Lei ha visto un aumento dei cosiddetti “ritirati sociali” o, con un altro termine più lieve, della “sindrome della capanna”?
Chi già prima aveva difficoltà a stare nelle relazioni, in un primo tempo ha reagito meglio, perché più abituato a rimanere in casa isolato. Però, alla lunga la pandemia ha provocato un peggioramento di queste situazioni.
Come stanno reagendo a questa situazione genitori ed educatori?
In generale c’è stata una reazione positiva, sono emerse tante risorse. Ma, inevitabilmente, a livello familiare c’è stato un aumento di preoccupazione, ansia, paura... Occorre fare in modo che tutto ciò non arrivi ai bambini, che ovviamente vengono molto influenzati dalle reazioni degli adulti intorno a loro. Dunque, gli adulti devono prendersi cura delle proprie preoccupazioni e paure, senza negarle ma neppure esagerarle.
In generale, com’è cambiato il rapporto genitori-figli ai tempi del Covid?
Il rapporto genitori figli quest’anno ha avuto una possibilità che non si era mai vista prima: quasi tutti i genitori si sono ritrovati in un tempo sospeso, in una situazione di convivenza forzata. È diventata un’opportunità inedita di stare insieme per qualcuno, ha fatto emergere molte difficoltà in chi già viveva una situazione precaria dal punto di vista economico o aveva poche relazioni sociali e scarsi strumenti culturali.
Sappiamo che non c’è una ricetta risolutiva, tuttavia, può darci alcune indicazioni per reggere questi mesi difficili, evitando i due estremi: vivere paralizzati dalla paura o sentirsi invulnerabili adottando comportamenti irresponsabili che arrivano a sfociare in forme di negazione della realtà?
Innanzitutto, è importante avere una buona consapevolezza di come ci sentiamo e di come stiamo affrontando questa situazione, senza indulgere in sterili lamentele. Paura, tristezza, rabbia... non sono solo emozioni negative, da evitare; fanno parte di noi, ma occorre riuscire a valorizzarle. Riconoscere e condividere queste emozioni può sicuramente aiutare. Soprattutto chi sta vivendo situazioni di malattia, di lutto... che vanno oltre il Covid.
In secondo luogo, occorre evitare di controllare l’ansia attraverso una ricerca incontrollata di informazioni. Il bombardamento mediatico rischia invece di accentuare ansia e desiderio di controllo, che però ci lascia impotenti perché non possiamo controllare tutto.
È importante, anche, tanto per gli adulti che per i ragazzi, cercare di mantenere un’organizzazione del tempo settimanale, perché contribuisce a ridurre il senso di incertezza. Poi occorre darsi degli obiettivi a breve termine. Infine, impariamo a chiedere aiuto. Per affrontare le situazioni stressanti, a partire dalle nostre risorse, e canalizzare le nostre energie in modo costruttivo.
Nessuno ha la sfera di cristallo, ma... come ne usciremo? Per le generazioni nate dopo la guerra è la prima grande vera prova collettiva.
Ne usciremo, ma dipende da come sappiamo affrontare ed elaborare quanto ci accade a livello emotivo, fin da ora e poi quando tutto sarà finito. Ci si è occupati dell’emergenza sanitaria e di quella economica, ma c’è anche un’emergenza psicologica che finora è stata un po’ dimenticata. Come ho cercato di spiegare, non possiamo fare a meno di affrontarla.