Le radici fossanesi dell’editore di Dio (1ª parte)

Giacomo Alberione Cascina
Statua dell'Alberione nella cascina dove è nato (ora Casa di spiritualità dei Paolini), a San Lorenzo di Fossano

Può capitare che per questione di qualche chilometro, di pochi anni e di una buona dose di fortunose vicende una diocesi possa vantarsi di aver dato i natali ad un beato, anche se poi deve riconoscere che il medesimo è a tutti gli effetti gloria e vanto della diocesi confinante, anzi del mondo intero. Parliamo, com’è facile intuire, del beato Giacomo Alberione, che nel fossanese emette appena i primi vagiti, ha il tempo di ricevere il battesimo e di muovere i primi passi, anche se tanto basta per farcelo sentire “dei nostri” e di annoverarlo tra i santi locali “della porta accanto”. Per parlare di lui, però, bisogna risalire almeno ad una ragazza di Bra, minuta e delicata, dolce e riflessiva, dalla fede semplice e dalle mille domande, in particolare sulla sua vocazione, di cui va a cercar risposta al santuario braidese della Madonna dei Fiori. E quando arriva a maturare l’idea che il matrimonio può far parte del suo futuro, secondo la tradizione delle ragazze e delle spose di Bra, tra cui la mamma del Cottolengo un secolo prima, alla Madonna affida il futuro marito e i figli che verranno, chiedendo però che almeno uno di questi possa mettersi a servizio pieno del buon Dio.

A dire il vero, su questa ragazza, che ha poco più di vent’anni, abita alla cascina Chiossa e si chiama Teresa Rosa Allocco, ha già posato gli occhi Michele Albrione (o Alberione, come si dirà in seguito), giovane uomo di tredici anni più grande, che abita nella confinante cascina Erculana. Si scambiano il reciproco “sì” l’11 febbraio 1873 e vanno ad abitare in una cascina poco distante, presa in affitto. Qui, ancor prima del compiersi del primo anno di matrimonio, avviene la prima nascita: del neonato i registri parrocchiali non tramandano il sesso e neppure il nome, rimarcando soltanto che è stato battezzato d’urgenza dall’ostetrica e che muore poche ore dopo. Non è un buon inizio per la loro vita familiare, anche se la culla viene riempita tre altre volte negli anni successivi. Non si sa quando, ma dopo il terzo figlio nato vivo la famiglia Alberione fa “sanmartino”, venendo ad abitare a San Lorenzo di Fossano: lo si deduce semplicemente dal fatto che in questa località del fossanese il 4 aprile 1884 si registra un’altra nascita.

Tenendo buoni come “paletti temporali” le nascite dei figli e considerando che normalmente i traslochi avvenivano in concomitanza con l’11 novembre, giorno di San Martino, il paolino Giuseppe Barbero nella sua monumentale biografia ritiene che la famiglia Alberione possa essere “rimasta a San Lorenzo un massimo di 5 annate, ed un minimo di una annata”, cioè da novembre 1883 a novembre 1884, giusto il tempo quindi perché il figlio nato in questo lasso di tempo possa essere considerato fossanese. Questione di poco conto, se vogliamo, e che volentieri lasciamo sbrigare agli storici, limitandoci a rilevare che papà Michele è un semplice fittavolo, che mai riuscirà a coltivare un pezzo di terra propria; che i suoi frequenti traslochi sono imposti dalla necessità di trovare terra sufficiente a mantenere la famiglia e proporzionata alle braccia di cui può disporre, dato che la moglie gli ha fino ad allora partorito tutti figli maschi; infine ma non per ultimo, che crescendo numericamente la famiglia, anche la situazione alloggiativa diventa un problema e non sempre i “padroni” sanno andare incontro alle esigenze dei loro fittavoli. Il Casale Perussia, o Cascina Nuova Peschiera che dir si voglia, è di proprietà della famiglia Ramazzotti di Torino; agli Alberione è stata assegnata un’unica stanza, attigua alla stalla, che deve loro servire da cucina, tinello e stanza da letto per i due genitori e per i figli più piccoli in culla, mentre i più grandicelli dovranno adattarsi, secondo le stagioni, a dormire nella stalla o sul fienile. A sinistra di questa stanza e in stridente contrasto con essa, si erge l’alta e ampia casa padronale, in forma architettonica di villa di campagna, le cui numerose stanze sono certamente non tutte occupate per gran parte dell’anno. Per Teresa, minuta e delicata per natura, tutti i parti sono complicati e da tutti fatica a riprendersi, anche se, tra una gravidanza e l’altra, non disdegna di lavorare nei campi insieme al marito e ai figli.

Il bambino che nasce il 4 aprile 1884 assomiglia piuttosto a lei, anzi è talmente sparuto e smunto da far dubitare che possa sopravvivere, al punto che Michele, da buon cristiano qual è anche se passa per “un d’ji barbis dur”, si preoccupa di farlo battezzare il più in fretta possibile, nel timore che faccia la fine del suo primogenito. L’altipiano su cui sorge la cascina, in quel periodo fa giuridicamente parte della parrocchia del Salice, ma per la messa domenicale, i funerali e anche per i battesimi gli abitanti della zona fanno riferimento alla chiesa campestre di San Lorenzo, al cui funzionamento provvede un Rettore. È dunque a questo fonte battesimale che, a 24 ore esatte dalla nascita, portano il neonato Alberione, cui danno il nome di Giacomo, come lo zio, fratello di papà, designato da mesi ad essere padrino, ma che non riesce ad arrivare in tempo per la celebrazione e così deve essere rappresentato dallo stesso sacerdote battezzante, cioè il rettore don Ferrero.

(1 - continua)