Stranieri nell’Albania Rossa

La straordinaria testimonianza dei fossanesi Michele Brondino e Yvonne Fracassetti dal 1982 al 1984 sotto il regime di Enver Hoxha

Stranieri nell'Albania Rossa, libro di Michele Brondino e Yvonne Fracassetti
Un particolare della copertina

Ospiti in Albania dal 1982 al 1984 durante gli anni bui del regime nazional-comunista di Enver Hoxha. È l’esperienza che i fossanesi Michele Brondino e Yvonne Fracassetti hanno raccontato in un bellissimo libro-testimonianza dal titolo “Stranieri nell’Albania Rossa”, edito da Besa (prezzo 15 euro) con prefazione di Sergio Romano. Un’esperienza esclusiva, vissuta da Brondino nella veste di addetto culturale, inviato a Tirana dal ministero degli Esteri per aprire un canale di comunicazione con un Paese impenetrabile, e condivisa con la moglie e due figli piccoli. Una missione pressoché impossibile, due anni di immersione in un mondo distopico, stretto nella morsa di un regime ossessivo e malato che, nel nome del comunismo e della dittatura del proletariato, controllava ogni aspetto della vita quotidiana, ogni comportamento, ogni parola che deviasse dall’ortodossia, punendo nei propri abitanti ogni forma di espressione di sé che non fosse orientata nella direzione indicata dallo Stato. Era, quell’Albania, un Paese arretrato, arcaico e completamente autarchico, isolato anche dagli altri regimi comunisti dal momento che Hoxha aveva interrotto i rapporti con Tito, poi (dopo la morte di Stalin) con l’Unione Sovietica, quindi con la Cina del dopo Mao. Tutto questo - ed è ciò che oggi ci appare più incredibile - ad appena 140 chilometri dalle coste italiane e a 6 ore di traghetto (a quel tempo, ovviamente precluso) dal porto di Brindisi.

“Stranieri nell’Albania Rossa” ci riporta a quelle atmosfere, ma nello stesso tempo ci racconta, nei rapporti lavorativi di Michele e in quelli di vita quotidiana di Yvonne, l’umanità che, nonostante tutto, ha imparato a resistere dentro questa prigione-Stato, i fievoli eppure straordinariamente vitali segnali di un popolo oppresso e silenzioso (a partire dalla dolcissima figura di Shpresa, la collaboratrice domestica-spia per necessità), ma dotato di un’irriducibile volontà di sopravvivere e di salvaguardare la dignità umana. Quello stesso popolo che, pochi anni più tardi, avremmo imparato a conoscere più da vicino, con l’immigrazione di massa, una volta caduto (anche a Tirana) il muro di Berlino. E che, grazie alle pagine di questo libro, oggi ci sembra di comprendere meglio nella sua storia di sofferenza e di riscatto.