Don Alberione, da Fossano al mondo (2ª parte)

Alberione Giacomo

I nostri venticinque lettori possono facilmente immaginare che una vita affascinante, complessa e avventurosa come quella di Giacomo Alberione ben difficilmente si può condensare nei circa novemila caratteri (spazi inclusi) di questa rubrica, né ci vergogniamo a confessare che, pur avendo tentato l’impresa, non ci siamo riusciti. Se nella puntata precedente avevamo lasciato un neonato appena battezzato a San Lorenzo il 5 aprile 1884, in questa lo seguiamo nel suo primo trasloco a Cherasco: ad appena pochi mesi dalla nascita secondo il biografo Rolfo, anche un paio d’anni dopo secondo il Barbero. L’unica data certa è la nascita della sorellina Margherita, nel febbraio 1887, che avviene a Cherasco, dove la piccola muore a inizio del successivo mese di luglio e dove, due anni dopo, nasce l’ultimo fratellino, Tommaso. Sempre qui avviene la prima defezione nella “squadra” degli Alberione che papà Michele sta mettendo in piedi, ancora legato all’illusione, con tutti i figli maschi che si ritrova, di ingrandire l’azienda e, magari, di mettersi “in proprio”. Perché, a partire dai sette anni, il figlio Giacomo comincia a dire di volersi far prete e per un padre che si preoccupa al solo pensiero di dover pagare la retta, ci sono almeno due donne che son felici in cuor loro: oltre alla mamma, che l’ha chiesto in regalo alla Madonna dei Fiori ancor prima di sposarsi, anche la maestra Rosa Cardona, che sempre spera venga fuori un prete dalle sue scolaresche.

Giacomo, dopo le elementari e alcune classi ginnasiali a Cherasco, entra in seminario: non ad Alba come avrebbe dovuto per competenza “territoriale”, ma nel piccolo seminario di Bra, in cui la retta è più bassa e minore è la distanza da casa, per cui il seminarista ad ogni ritorno in famiglia, sa già di dover aiutare papà, magari anche solo a “portare le oche al pascolo”. Riesce a farsi mandar via da questo seminario in quinta ginnasio, nell’aprile 1900, con l’accusa (indovinate un po’) di “leggere troppo”. Anche se dicono che nell’estate precedente abbia divorato qualcosa come un centinaio di libri, in realtà questa sua ingordigia nella lettura potrebbe anche essere causa di una crisi vocazionale in piena regola, che si riflette sul rendimento negli studi e anche sul comportamento. Torna a casa come uno sconfitto, lasciando ai genitori la delusione di aver sprecato i soldi per farlo studiare, mentre soltanto il suo parroco è ancora convinto di poterlo veder prete, tanto da mettersi in quattro per spianargli la strada verso il seminario di Alba. Vi entra ad ottobre dello stesso anno, rimandando la vestizione a quando la sua vocazione si sarà consolidata, ma a quanto pare recupera in fretta, perché appena tre mesi dopo è protagonista di una esperienza spirituale (che si potrebbe anche chiamare rivelazione divina) che don Alberione, in seguito, riterrà “decisiva per la specifica missione e spirito particolare in cui sarebbe nata e vissuta la Famiglia Paolina”.

Anche ad Alba, aderendo all’invito di papa Leone XIII, si prega nella notte tra il 31 dicembre 1900 ed il 1° gennaio 1901, dopo la messa solenne celebrata a mezzanotte dal vescovo. Solo il chierico Alberione, però, si ferma davanti al Santissimo per quattro ore consecutive, praticamente fino alla messa dell’aurora, perché in quella prolungata adorazione “si sentì profondamente obbligato a prepararsi a fare qualcosa per il Signore e per gli uomini del nuovo secolo con cui sarebbe vissuto», anche e soprattutto utilizzando i già esistenti mezzi della comunicazione sociale. Gli anni successivi sono tutti dedicati a dar corpo a questa idea, spesso con intuizioni che si urtano tra loro, quasi a mettere in evidenza che non tutto è chiaro nella mente del fondatore e questi si sta industriando con le sue povere forze per concretizzare un “disegno superiore”, confidando in San Paolo e nella Vergine Maria. Sempre, comunque, sotto un continuo assedio di ostilità se non di vere e proprie persecuzioni, sia da parte del clero albese che dell’ambiente laico circostante, che don Alberione già nel 1917 (ma proseguirà negli anni successivi) prova così a sintetizzare: “Tutti e specialmente io fummo accusati di esser ladri (…), fummo denunziati al Vescovo e si corse serio pericolo di dover chiudere la Casa, ma Dio ci salvò. Fummo denunziati a Roma e chissà come ce la saremmo tolta, se non fosse stato che abbiamo un Vescovo molto energico; al Sindaco, poi al sottoprefetto, al Prefetto di frequente. Anche tante persone buone non ci intendono e hanno sparlato della Casa con retta intenzione perché persone sante …”.

Sacerdote nel 1907, già a trent’anni fonda la Pia Società San Paolo, ma alla sua morte saranno ben cinque le congregazioni religiose da lui fondate, oltre a quattro istituti aggregati all’Unione Cooperatori Paolini.  A Natale 1931 vede la luce il primo numero di Famiglia Cristiana, che diventerà il più diffuso settimanale cattolico italiano, ed al quale si affiancheranno il settimanale “Il Giornalino” e svariati mensili religiosi, insieme alla vasta produzione libraria della San Paolo Edizioni e delle Paoline. Il bambino che si temeva morisse poco dopo la nascita, raggiunge e supera invece la veneranda età di 87 anni e si spegne a Roma il 26 novembre 1971, a 87 anni suonati e viene beatificato nel 2003. A lui Paolo VI, definendolo “una meraviglia del nostro secolo”, riconosce il merito di aver “dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore ed ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno con mezzi moderni”. Ma non bisogna dimenticare (e Paolo VI non lo sapeva) che, in seppur piccola parte, il merito di questa “meraviglia” è della nostra diocesi, perché tutto è iniziato sull’altipiano di San Lorenzo, nell’umiltà e povertà della Cascina Nuova Peschiera.

(2 – fine)