“Vaccinarsi è atto di fiducia nella ricostruzione del sistema-Paese”

La riflessione del Consiglio permanente della Cei

Vaccini
(foto SIR-European Commission)

“Vaccinarsi non è solo un gesto di amore per se stessi, ma di attenzione e di cura verso gli altri, oltre che un atto di fiducia nella ricostruzione del sistema-Paese”. È quanto si legge nel comunicato finale del Consiglio episcopale permanente della Cei, che si è svolto in videoconferenza il 26 e 27 gennaio. “Insieme al triste impatto sulla salute delle persone, la pandemia ha aggredito tutti gli ambiti di vita, andando ad incidere in particolare sulle condizioni dei più vulnerabili, dei poveri, degli anziani, dei disabili e dei giovani, i grandi dimenticati di questa crisi”, fanno notare i vescovi, secondo i quali “a preoccupare è il calo demografico al quale si aggiunge un invecchiamento progressivo della popolazione e la desertificazione di alcuni territori”. Di qui la necessità di “politiche familiari adeguate” e di “moltiplicare gli sforzi per continuare, nonostante le gravi difficoltà nelle quali le famiglie, gli insegnanti e i catechisti si trovano a operare, l’impegno educativo nei confronti delle nuove generazioni e per ricostruire al più presto condizioni e contesti che permettano esperienze formative integrali”. “Le nuove tecnologie sono di grande aiuto per tenere i contatti e per svolgere attività, ma non possono sostituire la ricchezza dell’incontro personale, della presenza”, il monito della Cei: “Aumentano le difficoltà dei bambini e soprattutto degli adolescenti, a cui va riconosciuto di avere vissuto, nella maggioranza dei casi, questi mesi con grande responsabilità e senso civico”. “Non si può tuttavia nascondere – hanno osservato i vescovi – che sembrano crescere l’insofferenza dei giovani e la preoccupazione delle famiglie. I bambini, i ragazzi, i giovani e l’intera comunità hanno bisogno che le scuole, i centri educativi, le parrocchie, gli oratori possano tornare il prima possibile a svolgere la loro funzione di contesti di crescita. Non ci potrà essere un ritorno improvviso alle condizioni di prima, ma fin d’ora tutti, comunità civili ed ecclesiali, sono sollecitati a fare la propria parte, partendo da quello che questo tempo sta mettendo in evidenza”.

“Come pastori non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle molteplici povertà: a quelle degli ultimi, che la pandemia ha reso in molti casi invisibili; a quelle di tanti che, per la prima volta, sono costretti a bussare alle porte delle Caritas, che in questi mesi hanno moltiplicato gli sforzi per non lasciare indietro nessuno; a quelle di un numero sempre crescente di famiglie e imprese strette nella morsa dell’usura a causa del sovraindebitamento; a quelle dei migranti che – nell’indifferenza e nel silenzio – continuano ad arrivare sulle nostre coste o sono bloccati sulla frontiera balcanica, al gelo e in condizioni disumane”. “La paura non deve farci rinchiudere in noi stessi né impedirci di tendere la mano al prossimo, se si vuole costruire una società più equa e più solidale - sottolinea la Cei -. La Chiesa, con lo stile dell’ospedale da campo, può e deve dare un contributo fondamentale al protagonismo dell’Italia”.