Riforma tutta interna alla Chiesa o percorso “in uscita”?

Un contributo alla riflessione

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Dopo l’intervista de La Fedeltà al sociologo Silvio Crudo pubblicata sul numero del 3 febbraio - che offriva alcuni spunti di riflessione nel contesto del Sinodo interdiocesano -, è pervenuta una lettera. Essa con accenti diversi pone una questione importante, che è anche un rischio: il Sinodo è “cosa” solo interna alla Chiesa o è davvero un percorso “in uscita”? È capace di intercettare gli interrogativi, le richieste e le osservazioni, anche critiche, che arrivano dal “mondo”, anche da chi non è credente ma si spende per la giustizia, la solidarietà, la pace, nelle periferie della società? In che misura le tante “periferie” (sociali, culturali, religiose...) hanno voce all’interno del cammino sinodale? “Se il Sinodo si arenerà nella discussione e riforma di amministrazioni interne o di espressioni cultuali sarà poca cosa - scrive l’autore della lettera -. Mi pare di poter dire che le domande formulate fino ad oggi non siano particolarmente interessate ai problemi di vita quotidiana quanto piuttosto a riforme interne non sufficientemente dialoganti con il mondo cui è rivolto il Vangelo”.
Ecco il testo completo, offerto alla riflessione di tutti.

«Le osservazioni di Silvio Crudo mi hanno in parte convinto in quanto giustificate e contestualizzate per cui esprimo a lui e a la Fedeltà complimenti e riconoscenza. Un aspetto mi pare carente e tuttavia, a mio avviso, necessario: le argomentazioni mi paiono tutte all’interno della Chiesa più come istituzione che profezia. Ho sempre avuto l’impressione che molti, anche ecclesiastici, pensino che Gesù sia venuto a fondare la Chiesa: credo che Gesù sia venuto a salvare il mondo e gli uomini, la Chiesa è il cammino lungo il sentiero della vita per condurci all’incontro con Gesù, non la meta. Il Sinodo, a mio avviso, ha senso se dialoga oltre che all’interno della Chiesa anche con il mondo, anzi soprattutto con il mondo a cui deve far arrivare e amare il messaggio del Vangelo, cioè Gesù.

Nel Vangelo di domenica (31 gennaio, ndr) ho colto l’espressione che il mio parroco ha sottolineato con una qualche convinzione là dove a Gesù viene rivolta l’espressione: “Sei venuto a disturbarci?”. In effetti, il messaggio evangelico ci disturba al punto che a volte siamo indotti a addolcirne il senso traducendo espressioni chiaramente provocatorie in spiritualistiche e innocue, riflessioni spesso devozionali. Alla sera in casa con la famiglia ho ascoltato un commento del sacerdote che riferendo un passo del Vangelo là dove Gesù dice: “Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta e del cumino (cioè rispettate le ritualità e le prescrizioni rituali) e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà”, metteva in evidenza come spesso traduciamo in rito devozionale e legalistico il nostro senso religioso e di fede dimenticando che Gesù parla alla vita e della vita di ogni giorno in cui si realizza la salvezza. Tutto questo per dire che rischiamo di ridurre il Vangelo, parola forte di salvezza, in devozioni sincere sì, ma innocue.

Se il Sinodo intende riformare il cammino del mondo secondo le indicazioni del Vangelo, a mio avviso, deve tradurre le parole del Vangelo in fatti di vita come fece Gesù: moltiplica il pane, guarisce il lebbroso, risuscita Lazzaro ecc. Il Papa manifesta grande preoccupazione per le ingiustizie, per il divario sempre in crescita fra ricchi e poveri in tutti i sensi richiamando le istituzioni e i responsabili ad un impegno forte in questa direzione. Ricorda la grave mancanza di responsabilità in tutti noi sottolineando l’immensa fuga e sottrazione di ricchezza e di capitali spesso attraverso inganni, sotterfugi ed evasioni.

Se il Sinodo si arenerà nella discussione e riforma di amministrazioni interne o di espressioni cultuali sarà poca cosa. Mi pare di poter dire che le domande formulate fino ad oggi non siano particolarmente interessate ai problemi di vita quotidiana quanto piuttosto a riforme interne non sufficientemente dialoganti con il mondo cui è rivolto il Vangelo. Ho sempre pensato, non da solo, che il Vangelo abbia un cuore “rivoluzionario”, detto con rispetto, e mi pare che nel mondo di oggi, anche da noi, non manifesti questa sua forza intrinseca solo perché non lo leggiamo a chiara voce. Non ci deve preoccupare se questo Vangelo disturba, è la sua funzione secondo Gesù, perché disturbando “converte”, forse. Se diffondessimo questo messaggio nella sua interezza forse verrebbero meno molte iniziative intese a sostituire le istituzioni nel rispetto della dignità di ogni persona e delle sue necessità.

Quanta carità elargita in sostituzione della giustizia. Chiediamo alle istituzioni di intervenire se noi operiamo nella giustizia verso le stesse. Ci sono diritti che devono essere rispettati cui però corrispondono doveri che devono essere compiuti: a volte ho l’impressione che il cristiano dimentichi di essere anche cittadino e pensi che la qualifica di cristiano lo esimi dai doveri di cittadino così come lo fu Gesù. Una giustizia maggiore eviterebbe forse la necessità di elemosine e borse alimentari.

Buon Sinodo!».