Di grande aveva solo l’amore (3ª parte)

Maddalena Baravalle

Nella colonia di Ventimiglia come alla “Mater Dei” di Casteldelfino, nel Cif come in parrocchia o nelle Acli, la presenza di Magna Lena diventa sinonimo di organizzazione, allegria, animazione, sostegno, inclusione, servizio umile e disinteressato, attrazione, accompagnamento. Con i tanti fioretti dal sapore francescano che contraddistinguono questa sua poliedrica e vorticosa attività, si sarebbe potuto all’epoca scrivere un libro ed è un vero peccato che molti di questi siano scesi nella tomba insieme a chi li conservava. Uno tra tutti è stato tramandato e riguarda un accompagnamento funebre in notturna, sotto la neve, solo per non permettere che un povero detenuto, senza parenti, se ne vada all’ultima dimora solo come un cane. Viene notte presto, quel giorno, nevica e fa freddo, ma lei non può rassegnarsi a vedere quella bara che si avvia al cimitero senza nessuno e sale coraggiosamente a cassetta, accanto al vetturino. Il viaggio è avventuroso sotto la nevicata, il cavallo inciampa e cade, seguito da Magna Lena che si rialza, bagnata come un pulcino, ma alla fine anche quel povero cristiano scende in pace sottoterra, accompagnato dalla preghiera sommessa di quella piccola donna, che ha compassione dei vivi e dei morti.

Se a questi ultimi però basta una sua preghiera e un fiore, la sua carità per i vivi deve essere carica di inventiva e davvero multiforme: a questo un sussidio, ad un altro un impiego, ad un altro ancora un lavoro magari solo saltuario, in parole povere una risposta personalizzata e puntuale per ogni bisogno, scomodando tutti pur di accontentare qualcuno, sempre con la “bela mutria” che alcune settimane già abbiamo indicato in “tota Cina” e che, forse, altro non è che la faccia tosta di ogni buon cristiano che, sapendo di non chiedere per sé, non ha paura di esporsi e di mettersi in gioco, rischiando ogni volta di trovare porte chiuse o, peggio ancora, sbattute in faccia. È poi incredibile quanto riesce a cavar fuori dalla sua borsa, famosa almeno quanto lei: riempita di tutto un po’ con quanto ha racimolato cammin facendo dai suoi benefattori, riesce a cavarvi all’occorrenza, come conigli dal cilindro, quanto serve a soddisfare almeno i bisogni più impellenti dei suoi poveri. E tutto fatto con il “gheddu” proprio di Magna Lena, che mai umilia, sempre valorizza, a ciascuno offre una carità sorridente e simpatica. Se tanto fa nei confronti di tutti, particolarmente se lo inventa per i malati, cercati nelle soffitte o visitati all’ospedale. «Per racimolare medicinali, cibarie e vestiti per i “suoi” ammalati», ricorda don Lenta, «era piena di iniziative attuate con slancio giovanile. Quelli di via Lancimano non potranno facilmente scordare la festa della Madonna e l’immancabile lotteria dell’oca con la quale metteva in subbuglio tutto il quartiere per raccogliere medicinali per i suoi poveri».

Il subbuglio da via Lancimano si sposta direttamente in paradiso il 23 maggio 1958, quando Magna Lena vi entra in pompa magna, al termine del suo personale calvario. Da parecchi mesi la sua resistenza, che si è rivelata eccezionale per il ritmo di vita e le veglie notturne accanto ai malati privi di assistenza, ha iniziato a manifestare qualche cedimento, fino al delicato intervento chirurgico che ha svelato la gravità di un male che non perdona. Poi la mandano a Bordighera, nella casa del Cif: questa volta non come animatrice o infermiera, ma come semplice convalescente. Vi si ferma quel tanto che basta per recuperare un po’ di forze e per aiutare a fondare, anche in quella località, i Volontari del Sangue, a dimostrazione che il male la può piegare ma non spezzare. Ritorna a Fossano e si prepara alla morte con francescana serenità, consapevole delle sue condizioni che si aggravano e della morte che si avvicina, rammaricandosi solo di non poter più aiutare come vorrebbe e affidando quindi le sue “commissioni” a chi le è più vicino: “una dozzina di uova a C., una bottiglia di vino e i sigari a G., i dolci ai bambini di E.”. Prenota addirittura (e siamo appena a maggio) farina e uova per il pasticciere che a Natale, come al solito, preparerà i dolci per le orfanelle e che qualcun altro dovrà distribuire a nome suo. Ma se le chiedono come fa a non lamentarsi nelle sofferenze atroci degli ultimi giorni, agita semplicemente il crocifisso che tiene sempre in mano, così indicando in Chi trova la forza necessaria per quei momenti. «Sono fatta così…», aveva risposto con un sorriso triste a chi un giorno, rimproverandole la sua troppa generosità, le aveva rinfacciato che «la sua non è più carità, è favorire la comodità». Dicono sia la stessa sorridente scusa che presenta al buon Dio, nei giorni in cui questi si lamenta del troppo subbuglio che la piccola donna continua a creargli in paradiso. Ma poi, dicono sempre i beni informati, va a finire che anche Dio si diverta e sorrida compiaciuto di quel terremoto benefico, anche in paradiso semplicemente chiamato “Magna Lena”.

(3 – fine)