Vangelo di Quaresima 5 – Spenditi, e godrai di ogni bene

5ª Domenica Quaresima 2021

Crocifisso
foto SIR

Quando attorno a casa si ha a disposizione un pezzetto di terra, fare l’orto è un’impresa possibile a chiunque, dal laureato al Politecnico di Torino alla casalinga di Borgo vecchio, passando per ogni genere di professione. Il rumore della vanga gettata che entra nella terra, il profumo della pianta di pomodoro, la vista del germoglio del fiore dalla zucchina, pungersi con le spine del carciofo e assaporare il gusto della lattuga appena colta, realizza una sorta di rito di introduzione ad una “celebrazione” che dall’orto, dopo aver attraversato la cucina, culmina nella tavola apparecchiata per il pranzo o per la cena. Laureato e casalinga, quando impugnano la zappa, condividono la sapienza del contadino: tutti e tre sanno che nessun seme è piantato per rimanere tale, ma per generare un frutto. E anche i semi, che “non sono scemi”, se avessero voce potrebbero dire la stessa cosa: dopo un certo tempo da interrati, non rimangono più tali ma spariscono e non si ritrovano più. Fuggiti da un destino percepito come avverso? Scappati dalla furia di un nemico che li avrebbe avvelenati? No, semplicemente trasformati in nutrimento e bellezza. Per farlo, però, è stata necessaria una morte: il seme si è lasciato andare, ha dato tutto se stesso e, adesso, si è trasformato in un frutto offerto alla bocca, allo sguardo, alle mani e al naso di ciascuno di noi.

Gesù nel Vangelo di domenica fa emergere la stessa dinamica in riferimento alla vita e dice: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Tuttavia, se passiamo dalla metafora alla concretezza, cioè se quel chicco chiamato a germogliare ma prima a “dover morire” sono io, dobbiamo riconoscere l’insorgenza di qualche perplessità che potrebbe tradursi con la domanda: “Devo dar credito alla voce che ripete: Trattieniti, non osare, conservati e nella vita non avrai problemi! Oppure a quella che dice: Spenditi, datti con generosità, consumati e sarai generativo!?”. Come se non bastasse, una lettura sbrigativa delle parole di Gesù rischia di dare un’enfasi eccessiva al morire, cioè alla necessità della sottrazione a discapito del frutto, che genera incertezza: “Ne sarà valsa la pena dedicarsi notte e giorno a mio figlio? Se penso a quanto ho rinunciato per lui…; ne sarà valsa la pena perdonare quell’amico? Se penso a quanto mi è costato farlo…”. Perché di “ogni morte” - se mi dedico ad un altro e se perdono, ad esempio, “viene a meno” sempre qualcosa di me stesso - noi vediamo solo cosa resta e non ciò che sarà. Resurrezione la chiamano i cristiani, destino ultimo - del Figlio e dei “figli” - che nessuna “visione” potrà mai descrivere né anticipare, ma che l’iniziativa di Dio in Cristo, morto e risorto, renderà ogni volta possibile. Ciascuno di noi, ora, è chicco seminato nei terreni più disparati: nella misura in cui sapremo consumarci e farci dono lì dove abbiamo messo radici, non andranno deluse le nostre fatiche, e neanche il sogno di chi ci ha piantati proprio qui.

Paolo Tassinari