Il segno delle chiese vuote ci spinga ad essere creativi

INTERVISTA a Marco Gallo, docente di teologia dei sacramenti: “Non si può interpretare l’esodo dopo la prima piaga: siamo pazienti, ma non rimandiamo mai più l’essenziale”

Proseguono le nostre interviste legate al Sinodo. Con l’obiettivo di allargare lo sguardo a come la pandemia sta mutando profondamente anche le nostre comunità ecclesiali. Ci interessa il quadro complessivo, per ampliare gli orizzonti e non lasciarci vincere dalla tentazione di pensare che, passata la pandemia, tutto tornerà alla “normalità” di prima. Ci facciamo aiutare da don Marco Gallo, docente di teologia dei sacramenti, direttore dell'Ufficio Catechistico a Saluzzo e parroco.

Innanzitutto, proviamo ad allargare lo sguardo alla pandemia in cui siamo immersi. Essa sta svolgendo la funzione di rivelatore e acceleratore di cambiamenti sociali, economici, culturali... che però erano già in atto da tempo. Anche il “mondo religioso” è immerso in questo “cambiamento d’epoca”. Un certo modo di vivere e trasmettere la fede sta tramontando, ma ancora non si intravvede l’alba del giorno nuovo... Cosa sta succedendo?
Sono ormai tante le parole spese da un anno, per provare a interpretare questo tempo. Un brillante autore francese ci offre questa impressionante immagine: proviamo a pensare che cosa avrebbe detto il faraone dell'esodo o Mosè stesso se avessero dovuto interpretare il tempo dopo la prima delle piaghe a cui è sottoposto l'Egitto. Sicuramente avrebbero detto che era una lezione da capire, qualcosa a cui reagire. Eppure, l'esodo si può comprendere solo quando tutte le piaghe sono venute. La pandemia è solo la prima di questi grandi avvenimenti che stiamo vedendo. Non è possibile dirne molto. A me sembra che il mondo religioso stia tentando affannosamente di reagire a un evento dalle dimensioni per ora ancora imprevedibili. Come suggerisce la spiritualità biblica mi sembra che più di tentare bilanci sia il momento della fedeltà e della prudenza, della giustizia e della fiducia.

Da tempo è in atto un processo di svuotamento fisico delle chiese e il Covid-19 ci ha messo impietosamente davanti alla scena finale dell’esodo in atto. Condividi questa valutazione? Come fare a non sprecare questo tempo, nell’attesa del ritorno ad una presunta “normalità”?
Il segno delle nostre chiese vuote ci offre un anticipo degli effetti della prevedibile secolarizzazione, con la quale stiamo facendo i conti da anni, ma che è da un anno ancora più visibile tra noi. Eppure, questa situazione di alleggerimento nelle pratiche ha lasciato il posto a tante e piccole azioni davvero inedite: penso alle famiglie che hanno avuto il coraggio di ospitare in modo coraggioso e semplice la vita di preghiera e l’ascolto della parola di Dio all'interno delle case. Penso alle tante azioni di prossimità e fraternità umana che numerosi operatori e volontari non hanno mai smesso di donare. Penso a come ci sembra prezioso poter tenere dei riti del lutto o di benedizione dell’amore, quando prima ci sembravano scontati. In questo senso anche questo svuotamento ci incoraggia all' azione dello Spirito.

Nell’ultimo anno (soprattutto nei mesi in cui non si poteva celebrare l’eucaristia) molti sacerdoti hanno trasferito sui social (messe in streaming, celebrazioni della Parola, commenti biblici, ecc.) quello che avveniva in presenza. Col risultato di spingere ancor di più in secondo piano l’assemblea che celebra (i fedeli ridotti a spettatori). Dal punto di vista di uno studioso di sacramenti e liturgia, cosa tenere e cosa lasciare cadere degli “esperimenti” di questo periodo?
Devo ammettere che io stesso sono stato coinvolto e sorpreso dalla potenza della partecipazione liturgica attraverso lo streaming. Certamente queste sospensioni ci hanno fatto sentire la nostalgia del rito assembleare, del ritrovarci fraterno, che fanno parte pienamente del sacramento. Eppure, ritengo che totalmente indietro non si possa tornare. Direi con una battuta che chi celebra male come comunità e presidente ha mostrato i suoi limiti anche attraverso il digitale. Mentre chi è assetato di una celebrazione ricca e partecipata a volte trova anche nel digitale un alleato interessante e sorprendente.

Forse l’età del Covid-19 potrebbe rivelarsi “provvidenziale” anche per valorizzare meglio la stessa eucarestia, a volte ridotta a un appuntamento scontato. Cosa suggerisci?
Ritengo che la più fondamentale e semplice legge della partecipazione all'eucarestia sia questa: che io dia il permesso a questo momento spirituale di coinvolgermi. Se non c’è questo assenso di fiducia, nulla può accadere. E averne gustato l’assenza ci aiuta, come è accaduto per altre esperienze fondamentali: la scuola, la libertà di viaggiare, il bello di sedersi a tavola con amici, l’abbraccio e la prossimità...
Credo anch'io che abbiamo dato per scontato da sempre questa libertà di radunarci come cristiani. Da questo tempo sarebbe fondamentale conservare in noi anzitutto il senso di gratitudine e di sorpresa quando possiamo incontrarci. E poi l'assoluta necessità di porci in ascolto della Parola e di celebrare sempre (!) in modo semplice e accorato: nel post-moderno una liturgia ben condotta evangelizza, ma una liturgia mal celebrata scandalizza molto più profondamente di quanto facesse nel passato.

Una lettrice ci ha scritto: “Se è vero che i sacramenti sono segno della Grazia, l’assenza dei sacramenti non significa che la Grazia del Signore venga a mancare”. Quali altre dimensioni della vita di fede possono essere valorizzate in modo duraturo?
È pur vero che la Grazia di Dio ci raggiunge senza i sacramenti, ma senza il corpo noi non possiamo comunque incontrare il Dio cristiano. Per questo ritengo che le tante azioni che possono risorgere in questo passaggio drammatico saranno fedeli al Vangelo se saranno fedeli alla legge dell’Incarnazione: non posso salvarmi da solo e solo il tempo speso attraverso una prossimità percepita ci permette di accogliere il regno di Dio. Personalmente ritengo che attraverso questa prova lunga e profonda il dono spirituale più prezioso da invocare è quello del discernimento: lasciar cadere ciò che non è essenziale e donarsi pienamente in ciò che non è rimandabile.