Domenica 25 aprile si prega per le vocazioni

La riflessione del direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale vocazionale in occasione della 58ª Giornata mondiale

Vocazioni Orchestra

Il 25 aprile la Chiesa cattolica celebra la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana per la pastorale vocazionale, ci aiuta a riflettere sulla ricorrenza inserendola nel più ampio contesto della proposta vocazionale della Cei per l’anno pastorale in corso.

La tematica proposta dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni per l’anno pastorale 2020-2021 si ispira ad una espressione di papa Francesco, contenuta nella Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, 141. Al capitolo su alcune caratteristiche della santità: “La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due”.
Lo scorso anno abbiamo voluto fissare l’attenzione sul fatto che la vocazione nasce dall’incontro con Gesù e che solo se egli è riconosciuto come il meglio della vita è possibile decidere di darsi per amore nel servizio dei fratelli.
Quest’anno rimaniamo fedeli allo schema triennale che ci siamo proposti e intercettiamo quella dimensione forse ancora troppo poco evidenziata ed approfondita che riconosce alla vocazione una dimensione personale e – proprio per questo – comunitaria. La vocazione non è mai soltanto mia ma è sempre anche nostra: la santità, la vita è sempre spesa insieme a qualcuno. E questo è un elemento essenziale di ogni vocazione nella Chiesa. Proprio questa, infatti è «l’originalità della vocazione cristiana: far coincidere il compimento della persona con la realizzazione della comunità» (Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche, Nuove vocazioni per una nuova Europa, Roma 5-10 maggio 1997, 18d).

Nel picco che, nel nostro Paese, l’epidemia di covid-19 ha raggiunto nella scorsa primavera e che in questi giorni sta imperversando ancora con altrettanta violenza in numerose aree del pianeta, ha fatto emergere una consapevolezza sottolineata anche da papa Francesco in quell’iconico momento di preghiera del 27 marzo 2020: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca» (Francesco, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020). L’immagine è forte e tutti ne abbiamo sentito l’efficacia. Risuona armonica con la profezia che Giovanni Paolo II scrisse all’inizio del Millennio: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione» (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43).
Siamo tutti sulla stessa barca e nel tempo della tempesta possiamo diventare solidali, perché riconosciamo il legame che tutti ci unisce e che solo dà vita oppure possiamo lasciar emergere i pensieri peggiori, iniziando ad odiarci gli uni gli altri, a guardarci come avversari, nemici, come incursori o come minacce. Dalla barca – pur di salvare noi stessi – saremmo disposti a buttare a mare gli altri illusi dalla tentazione di un bugiardo ‘si salvi chi può’. In questo tempo diventa urgente riflettere, pensare, contemplare il legame come elemento essenziale della nostra persona. Che la vita e la storia sono intessute in un intreccio di legami che soli offrono la possibilità di lasciar scorrere la vita dello Spirito – la vita stessa – come in un dedalo di tubature, in un reticolo di vasi sanguigni che portano la linfa a tutto l’organismo. Senza, la vita, non è possibile.

La vocazione è così: «Se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. [Il patriarca Bartolomeo] ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che significa imparare a dare e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che voglio io a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. È la liberazione dalla paura, dall’avidità, dalla dipendenza» (Francesco, Laudato si’, 11). La vocazione è la mia parte, quella che posso fare e che posso fare io soltanto, sempre insieme agli altri.
L’immagine (di Valerio Chiola, in alto) rappresenta un’orchestra fatta di diversi componenti, di tutte le età perché la fatica e la bellezza della comunità è cercare l’armonia che fa emergere la comunione nella differenza. Ciascuno suona il proprio strumento musicale che significa il proprio contributo a servizio della comunità, il compimento della persona nella realizzazione della comunità. Dai movimenti degli artisti emerge un bagliore che vuole significare la luce di Dio, la vita dello Spirito che dal di dentro (Rm 5,5) dal cuore dell’uomo fa trasparire nei gesti il medesimo amore, la stessa carità. Di questo vive e si forma la Chiesa, la comunità e in questa vita donata si compie la vocazione di ciascuno. Gli occhi dei componenti sono chiusi e non guardano il direttore: per dire che l’armonia viene dal Signore, dalla sua Parola, dall’intuizione – nell’ascolto – della voce dello Spirito. Lui, il Direttore, è all’opera al centro o in primo piano per significare la sua forza di far emergere da ciascuno il meglio di sé e il desiderio di far crescere nella comunione tutta la storia.

don Michele Gianola, direttore Unpv della Cei.

APPROFONDIMENTO: Messaggio del Santo Padre Francesco per la 58a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni