“Il sacerdote è l’intermediario tra l’infinita felicità di Dio e l’immensa infelicità dell’uomo”: attorno a questa idea ruota “Il sacerdote del Concilio”, sua opera ultima e postuma, che se pur non la principale è senz’altro il vero testamento spirituale di un prete, culturalmente ben equipaggiato e, soprattutto, profondamente innamorato della sua vocazione, che vive la stagione conciliare con il fervore e l’entusiasmo di una primavera incipiente che egli ha saputo cogliere e, per certi versi, anche anticipare. Don Antonio Gazzera, scomparso quasi sessant’anni fa, è indubbiamente un esponente di primo piano di quella stagione ecclesiale del Novecento fossanese, da alcuni considerata, a ragione, la vera epoca rinascimentale del nostro clero diocesano.
Nasce a Salmour nel 1917 e, testimonia don Giovanni Minero, “in seminario durante gli anni di studio e di formazione era come tanti altri un abbozzo: i limiti umani cadevano a poco a poco sotto lo scalpello, mentre l’animo si plasmava alle future esigenze sacerdotali”. Ordinato sacerdote ad aprile 1941, esce dal seminario con la patente del prete studioso e intelligente che poi si laurea brillantemente in Lettere Classiche alla “Cattolica” di Milano. “Ho lucidato l’anello, preparatevi al bacio”, annuncia laconicamente ai compagni di seminario nel 1946: cartolina che nei destinatari suscita gioia e forse un po’ d’invidia, almeno pari all’orrore grammaticale provocato dall’analoga cartolina, contemporaneamente spedita a suor Emilia Cavallini, addetta al seminario di Cussanio, nella quale il nome della destinataria è arricchito di una quantomai inopportuna “g”, chiaramente non solo superflua, ma decisamente sconveniente per un neolaureato di un così prestigioso Ateneo. Ai “perfidi” compagni non sembra vero poter festeggiare il neo-laureato, presentandogli come omaggio, “ben incorniciato e dietro vetro tersissimo”, la cartolina con “Emiglia”. Don Antonio, che sa ridere di se stesso e possiede la rara dote dell’umorismo, sembra gradire l’omaggio, che difatti terrà per molti anni nel suo studio, ben esposto alla vista di tutti. È abbastanza normale che la diocesi voglia ora mettere a frutto, al di là dell’anzidetto svarione grammaticale che ben volentieri gli si può perdonare, una laurea così brillantemente conseguita: lo mettono pertanto ad insegnare Greco e Latino in seminario; mons. Michele Pellegrino lo segnala quale vicepreside del neonato liceo scientifico di Fossano. Per alcuni anni ricopre anche il ruolo di preside di una scuola superiore di Dogliani. Si ritiene davvero che in lui la passione dello studioso si fonda con le sue indubbie abilità didattiche, rendendolo docente amato e ambito.
Malgrado su ciò sembrino tutti concordare, il vescovo gli chiede di lasciare l’insegnamento e di assumere la direzione spirituale del seminario: una decisione non concordata, anzi chiaramente imposta, che il vescovo giustifica con l’assoluta mancanza di alternative valide e che tiene conto del nuovo assetto del seminario, realizzato ex novo sul “vial ‘d la lingera” nel quale è confluito il seminario minore di Cussanio e quello maggiore, già attiguo al Vescovado. Monsignor Borra, con i preti che ha a sua disposizione sa di non avere (secondo la sua stessa espressione) che “quattro noci in un sacco” e così don Gazzera accetta l’oneroso e delicato incarico di unico padre spirituale di seminaristi e chierici, in spirito di autentica obbedienza e di amoroso servizio alla diocesi, anche se a nessuno sfugge che questo disattende le sue naturali attitudini e le sue più che legittime aspettative umane. Solo chi proviene o sta attraversando un’analoga situazione di adesione alla volontà di Dio da faticosamente interpretare nelle decisioni dei Superiori, può capire il tormento, se non addirittura l’eroismo, che richiede e che in lui, secondo la testimonianza di don Minero, resta contraddistinta “dal suo abituale sorriso che gli saliva da una pace interiore”. Per questo, conclude la preziosa testimonianza del confratello, don Gazzera “incominciò a meravigliare per il suo passaggio alla esperienza più diretta di vita spirituale, di attività sacerdotali”; per questa ragione “si impose il silenzio raccogliendosi più sovente in cappella”; per questo, ancora, “non si lasciò mai sopraffare dalle strutture, in netto contrasto con le sue aspirazioni”.
(1-continua)