Migrazioni, un segno dei tempi da interpretare

Profughi Migranti Naufragio
foto ANSA/SIR

Mi capita spesso di andare a sfogliare un vecchio quaderno su cui da ragazzo annotavo le frasi belle che sentivo o leggevo su libri o giornali. Recentemente ho ripreso una frase di Martin Luther King (che avevo annotato): “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli e a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato a vivere da uomini, da fratelli”. Il nostro vivere sociale in questi ultimi 50 anni è cambiato molto, siamo tutti più scolarizzati, tutti abbiamo acquisito familiarità con la tecnica, con l’informatica. Il benessere è aumentato a dismisura. Forse la nostra umanità non è cresciuta allo stesso modo. Viviamo in una società complessa. Tutto cambia velocemente e quello che era importante diventa spesso secondario o relativo. I valori vengono banalizzati e si assolutizzano altre cose, magari secondarie. Ad esempio, ci preoccupiamo moltissimo del benessere degli animali, ma molto meno di quello di tutti i nostri simili. Recentemente sono stati aperti ristoranti di lusso per cani e gatti a Londra, a Berlino. Subito ne sono seguiti altri a Bruxelles, Milano, Lecco, ecc.
Le nostre coscienze invece sono diventate refrattarie alle notizie di naufragi di barconi stracarichi di giovani vite che vengono inghiottite dal mare. Inorridiamo al pensiero di quanto è successo nei campi di concentramento nazisti e non muoviamo un dito a favore dei diritti di tanti giovani rinchiusi in veri e propri lager, vittime di violenze, torture, estorsioni, sfruttamenti. La loro colpa sta unicamente nell’essere migranti.
Il fenomeno migratorio non è nuovo. Ricorre periodicamente nelle varie epoche storiche. Quello che sta avvenendo oggi ci tocca tutti e ci deve interpellare. In un mondo così globalizzato nessuno può considerarsi estraneo alle responsabilità. Oggi nel mondo ci sono circa 80 milioni di persone che sono in migrazione, che hanno lasciato le loro case, i loro affetti, i loro legami, le loro terre per cercare altrove una possibilità di vita, di dignità, di futuro. Questi non sono numeri. Sono persone che stanno vivendo una immensa catastrofe. Di fronte a questo non è possibile chiuderci costruendo muri e vivere nel comodo del nostro benessere e nel nostro egoismo. Assistere inermi e indifferenti ad una catastrofe umanitaria di dimensione mondiale.
Questo fenomeno lo possiamo comprendere ed affrontare solo se ne conosciamo le cause e se assieme come comunità umana ne troviamo le soluzioni.

La gente scappa dai paesi in guerra. La guerra, lo sappiamo tutti, è una cosa sporca. Dietro ogni guerra ci sono immensi interessi di grandi potenze economiche che, guarda caso, sono ben radicate nel nostro mondo industrializzato. La vita della gente, per chi fa affari loschi, vale molto meno dei profitti che si ricavano.
La gente scappa perché nei paesi dove vive sono mutate le condizioni climatiche. I cambiamenti climatici stanno provocando grandi siccità, carestie oppure tifoni, inondazioni, ecc. rendendo impossibile il lavoro nei campi. Tutti noi sappiamo che l’inquinamento è provocato dalle grandi aziende occidentali e dal comportamento irresponsabile dei suoi abitanti.
La gente scappa dai paesi che sono nella povertà. Molti di questi paesi sono ricchi di risorse del suolo e del sottosuolo che vengono sfruttate da grandi compagnie internazionali che fanno grandi profitti lasciando nella povertà le popolazioni locali.
Come è facilmente comprensibile, le economie dei nostri paesi industrializzati non sono estranee alle cause che generano le migrazioni. Direttamente o indirettamente tutti i nostri paesi, e quindi anche tutti noi, abbiamo delle responsabilità nelle cause di questo processo. Nessuno di noi però ne vuole vedere gli effetti. Alla radice di tutte queste cause in ultima analisi c’è il nostro stile di vita. Un modo di vivere che mette il 20% della popolazione mondiale (e noi siamo tra questi) in una posizione privilegiata di vita comoda e lussuosa a discapito del restante 80%.

I migranti sono un segno dei nostri tempi che deve essere compreso, interpretato e che attende risposte concrete e urgenti.  La loro presenza ci richiama l’ingiustizia strutturale che si è creata nell’umanità e che chiede di essere interrotta e sanata. Richiama tutti all’assunzione di responsabilità. Essi rappresentano un’umanità esclusa che chiede risposte adeguate. E solo se avverrà questo potranno cessare i flussi migratori. La politica, che a tutti i livelli ha il compito di ordinare e governare la vita civile, deve avere uno sguardo lungimirante e responsabile. Essa ha il grave dovere di aiutare a comprendere e poi programmare, anche a discapito del consenso popolare, iniziative di accoglienza e integrazione per chi bussa alle nostre porte. Deve però anche saper progettare seri programmi di sviluppo politico, sociale ed economico nei paesi da cui provengono queste persone.
La storia scriverà il suo giudizio sulla nostra generazione, sul nostro tempo, su come abbiamo saputo interpretare i veri valori di umanità, di fratellanza, di giustizia. Su come abbiamo praticato percorsi di convivenza fraterna, di pace e di condivisione tra tutti i popoli. Proprio come Papa Francesco non si stanca di indicarci nei suoi preziosi documenti.

Nino Mana