Dio, il vescovo e quattro noci in un sacco (2ª parte)

Don Antonio GAZZERA

I primi anni di vita del nuovo seminario coincidono con l’inizio di un’autentica primavera della Chiesa: a ottobre 1958 viene eletto papa Angelo Roncalli che, appena tre mesi dopo, annuncia l'indizione di un concilio ecumenico, di un sinodo della diocesi di Roma e l'aggiornamento del Codice di Diritto Canonico. A nessuno, tra quanti coltivano con intelletto d’amore un forte senso di appartenenza ecclesiale e un cuore aperto alle novità dello Spirito, possono, in particolare, sfuggire le opportunità di rinnovamento che l’inaspettata stagione conciliare offrirà alla Chiesa; men che meno a don Antonio Gazzera, per sensibilità spirituale e apertura intellettuale proprie, ma grazie anche alla formazione culturale di ampio respiro ricevuta. Meritano indubbiamente citazione le sue anticipazioni della riforma liturgica, cui sta lavorando, ricorda don Giovan Battista Genesio, dal 1957: «Si celebrava ancora in latino, eppure già lavorava pensando di offrire strumenti per una partecipazione più vivace del popolo alle celebrazioni». Un sodalizio con il canonico Piero Damilano, «che ben conosce le regole della composizione e le sa adattare alle possibilità del popolo» e che pertanto può prendersi cura della parte musicale, porta don Antonio a redigere i testi dei nuovi canti, «densi di contenuti teologici e ben ritmati», che nel 1959 «furono presentati al congresso ceciliano di Pisa e fu un battesimo trionfale. La libreria editrice musicale Santa Cecilia di Roma ne prese la proprietà. La casa musicale Eco di Milano si offrì per la registrazione con gli strumenti della Fonit Cetra. Il primo disco ebbe subito parecchie ristampe…». Basta forse ricordare, tra i tanti, il canto “Ti saluto o croce santa”, ancora oggi in uso in alcune nostre comunità.

Vive e predica, soffre e prega perché il seminario diventi sempre più luogo in cui «si prepara l’attuazione del Concilio formando uomini dalla mente aperta e dal cuore generoso», anche se, come per Papa Giovanni esattamente un anno prima di lui, i suoi occhi non possono vedere la conclusione del Concilio. Perché così son fatti i profeti, abituati come sono a gettare il cuore oltre l’ostacolo, pur avendo le vagheggiate riforme potuto solo immaginare e salutare da lontano. Incalzato dalla neonata Editrice Esperienze, mette la sua penna anche a servizio di un laicato maturo, responsabile e cristianamente formato: “Mamme in preghiera”, “Mamme in grazia”, “Le vergini di Cristo”, “La Via della perfezione” sono i fortunati titoli di una produzione ascetico-spirituale che vanno a ruba e che richiedono continue ristampe, anche grazie allo stile, sobrio e accessibile a tutti. Oltre poi al già citato e postumo “Il sacerdote del Concilio”, la nostra rubrica non può dimenticare il volumetto “Profili di Santi e non santi fossanesi”, edito nel 1958 e scritto con la maestria di chi davvero sa tenere la penna in mano, alla cui redazione don Gazzera si dedica nei ritagli di tempo lasciatigli dalle sue mansioni di vicecancelliere di Curia e direttore dell’Ufficio Catechistico. Don Giovanni Minero acutamente osserva che lo si «legge d’un fiato e si sente vibrare l’anima di don Gazzera, perché è difficile non scorgervi delle consonanze», il che equivale ad affermare che aveva ragione papa Clemente, quando alla fine del primo secolo dell’era cristiana raccomandava ai suoi cristiani: «Attaccatevi ai santi perché quelli che sono uniti ad essi diverranno santi».

«La stola e il grembiule sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio, il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo»: ancora queste parole non vibrano nella voce pubblica di don Tonino Bello che già trovano attuazione nella vita di don Gazzera, esternandosi in silenziosi gesti di carità verso confratelli bisognosi e singole persone in difficoltà, fino alla più strutturata ed organica iniziativa verso i fossanesi più fragili attraverso la “Messa del Povero”, cui dà vita nel 1948 insieme a Luigi Bracco e che, alla loro morte, passa nelle mani di Tota Cina. Quanto in questi oltre 70 anni di attività è riuscita a compiere la benemerita istituzione è forse la prova provata che il saio dell’asceta don Gazzera è anche grembiule di carità fraterna che egli si sforza di modellare nei futuri sacerdoti, perché senza mai smettere la stola sappiano con disinvoltura, ogni giorno, indossare il grembiule del servizio. Arriva poi, per don Gazzera, il momento di abbandonare «la stanza d’angolo alla confluenza dell’ala maggiore con la minore» che nel nuovo seminario è destinata al Direttore spirituale, per quella ancor più impegnativa occupata dal Rettore. Siamo nel 1960 ed evidentemente nel sacco del Vescovo Borra le noci continuano ad essere quattro e su quelle deve contare per mandare avanti la diocesi, pur se c’è da presumere che ora abbiano anche il loro peso le qualità espresse da don Gazzera nel precedente servizio. Dove non ha deluso, come non delude nell’attuale, e ben lo testimoniano la stima e la considerazione che gli manifestano i Rettori degli altri seminari: mons. Gasco di Mondovì, mons. Bussi di Alba, don Ristorto di Cuneo, don Dao di Saluzzo e mons. Pautasso di Torino.

Dei 20 anni interamente dedicati al seminario, quello di rettore copre l’arco temporale più breve, tre anni appena: il giorno dell’Epifania 1964, durante la recita corale dell’Ufficio, si manifestano in lui i primi sintomi di un galoppante male che non perdona e che gli riserva un calvario di cinque mesi, durante i quali si rivelano inutili ogni cura e anche i delicati interventi chirurgici cui è sottoposto. «Signore, fa’ che i tuoi sacerdoti vivano per la tua gloria e muoiano nel tuo amore»: è l’ultima frase del suo ultimo libro e sembra la felice sintesi della sua intera esistenza. È forse per questo che, non a caso, spira il 5 giugno, solennità del Sacro Cuore, al tramonto di un giorno che dal 1948 è dedicato alla preghiera per la santificazione sacerdotale, meta verso la quale ha indirizzato tutti gli sforzi del suo ministero e che, nel testamento spirituale, ha condensato in questa preghiera: «Padre del cielo, che nessuno di quelli che mi hai dato si perda e che qualcheduno di essi sia un santo autentico, sacerdote secondo il tuo cuore». Per quanto è dato da comprendere a poveri mortali e per quanto può esteriormente apparire del clero fossanese, pur senza mai dimenticare che «chi scruta i cuori è il Signore» (Pr 21,2), sembra di poter affermare che non sia affatto stata inascoltata la preghiera del canonico Gazzera, soprattutto perché avvalorata dai suoi insegnamenti e dalla sua testimonianza di vita. Di riflesso, malgrado i decenni trascorsi, possiamo concordare con don Minero che «non è scesa la polvere sulla sua lapide. E se un poco cadesse, c’è sempre chi la toglie in nome della riconoscenza».

(2 - fine)