Andreano Audetto da 50 anni nel calcio

“Mi riempie d’orgoglio leggere il giornale del lunedì e vedere nelle formazioni di Eccellenza e Promozione il nome di tantissimi talenti che ho allenato”

Audetto Andreano

Più di cinquant’anni nel mondo del calcio, prima con il pallone ai piedi e poi a bordocampo, sulle panchine di molte piazze della provincia di Cuneo. La storia sportiva di Andreano Audetto, sessantatré anni compiuti e un lungo percorso nel calcio locale, è di quelle avvincenti. Con l’attuale allenatore dei Giovanissimi 2006 del Salice abbiamo provato a ripercorrerne alcune tappe, con uno sguardo più che mai attento sul presente e su quel che sarà.

Squadra Premiazione
Andreano, come è andata quest’ultima stagione al Salice?
Diciamo che a farla da padrone è stato il Covid-19, che purtroppo ci ha impedito di pianificare fino in fondo le nostre attività. Nonostante ciò, ci abbiamo messo tutto l’impegno, allenandoci quando possibile e portando comunque avanti la stagione con i ragazzi.
In società, da qualche tempo, si stanno facendo le cose davvero sul serio…
Il Salice è un sodalizio forte, in grande crescita e con le idee chiare: i giovani sono la priorità e si è puntato sulle strutture per poterli allenare nel modo migliore possibile. Il recente inserimento di Cristiano Zabena nello staff di responsabili credo che ne sia la conferma. Cristiano è un ragazzo che conosco da tanto e che ha due grandi qualità: è un ottimo tecnico e un grande conoscitore di calcio, quindi non potrà che lavorare per il bene del club. 
Dove vedi il Salice nei prossimi anni? 
In una posizione ancora più alta e nobile. Tanti ragazzi sono già stati attratti da questo progetto e sono dell’idea che se si riuscirà a creare una prima squadra appetibile, che possa essere una vetrina perfetta, molti altri sceglieranno di crescere con i colori gialloblu addosso.
Facciamo un passo indietro di “soli” 33 anni. Nel 1988 si chiudeva la tua carriera da calciatore. Che ricordi hai?
Non sono mai stato un fenomeno, ma mi sono tolto le mie soddisfazioni, arrivando fino alla Promozione, che al tempo era l’ultima categoria prima del “grande salto” in Serie D. Il calcio dell’epoca era un calcio diverso, in cui la tecnica contava più della fisicità e della parte aerobica. Io ero un buon libero, bravo a calciare con entrambi i piedi, e mi sono sempre ritagliato il mio spazio, pur non essendo molto veloce.
Avendo seguito l’evoluzione del pallone anche da allenatore, rispondi alla fatidica domanda: più facile il calcio di oggi o quello di un tempo?
Spesso mi trovo a parlarne con “Roby” Sarale, con cui collaboro ancora oggi, e da buoni nostalgici finiamo sempre per rimpiangere i tempi andati. Io, però, cerco di ritornare oggettivo quando posso: il pallone degli anni Ottanta e quello di oggi sono pressoché imparagonabili, ed è giusto lasciarli separati. Di certo, se ancora oggi siamo qui a parlare di questo sport è perché il nostro modo di viverlo ci ha segnati e ci ha lasciato tanti ricordi positivi, che portiamo con noi. 
Proprio al termine del percorso da giocatore, iniziasti quello da allenatore, che di fatto prosegue da più di tre decenni. La vittoria più bella?
Impossibile sceglierne una. Voglio essere onesto: ci sono stati successi entusiasmanti, ma anche qualche sconfitta. Fanno entrambi parte del gioco. Se devo elencare i ricordi più belli, però, dico le vittorie con Centallo e Benese in Prima Categoria, perché mi consentirono di condurre quelle due società in Promozione, che non avevano mai raggiunto prima. 
Allenatore dei grandi, prima, e dei giovani, poi. Anche in questa tua “terza vita sportiva” le soddisfazioni non sono mancate…
Mi sono riavvicinato al mondo giovanile quando i miei figli hanno iniziato a giocare: seguivo talmente tante partite che a un certo punto fu naturale tornare ad allenare nei vivai. Qui cito il doppio accesso alle finali regionali con l’annata ’99 del Fossano e la vittoria ai provinciali con i 2006 del Salice, perché hanno rappresentato momenti di grande gioia.
Senza fare torto a nessuno, se ti chiedessimo di elencare qualche giocatore che ti è rimasto nel cuore?
Questa è una domanda davvero difficile, perché sono davvero tanti. Io praticamente ovunque, anche nelle annate meno fortunate, ho legato con l’ambiente e intessuto rapporti profondi con i ragazzi, che molto spesso sono ancora oggi miei grandi amici. Provo a citarne alcuni: Origlia, bomber di razza del mio Centallo, Astrua e Bosio, con i quali ho fatto tanto a Sommariva, Kutri, che era un attaccante di altissimo profilo, e Luca Burgato, che poi è stato mio vice negli anni a Roreto e che aveva qualità uniche per il nostro calcio.
E tra i giovani?
Qui è ancora presto per dirlo, ma di certo confesso che mi riempie d’orgoglio leggere il giornale del lunedì e vedere nelle formazioni di Eccellenza e Promozione il nome di tantissimi talenti che ho allenato. Non ho la presunzione di dire che il merito sia solo mio, ma voglio credere che anche grazie al mio lavoro oggi possano togliersi soddisfazioni con il pallone tra i piedi. I nomi? Dico Bonofiglio e Bergesio, due “ragazzi del ‘99” con cui ho avuto tante gioie, ma i nomi, anche qui, sarebbero tanti.
c.c.

Servizio completo su La Fedeltà di mercoledì 2 giugno 2021.